Ricerche vane, al solito. Mi è venuta un’improvvisa, irresistibile voglia di ascoltare un vecchio brano dei Roxy Music. Potrei ripercorrerlo nota per nota ma, ovviamente, non ricordo il titolo e non sono certa dell’album.
Rafano nella polvere a lungo ma poi mi arrendo. Nel frattempo mi capita tra le mani un nastro, vecchissimo! Dio quant’è vecchio! Di Sakamoto. Metto un pezzetto……ma no, io volevo quel brano…accidenti…cerco di nuovo.
Niente.
Alla fine metto una Tori Amos d’annata. Una vecchia storia d’amore, o di illusione piuttosto. Tanto tempo fa. Com’è che sciolto nel tempo quello che ci ha fatto tanto male prima, ora ci fa ridere? E come sembriamo ridicoli, a rivederci in ipotetiche foto di noi stessi, impresse nei ricordi, immagini e brandelli di pensiero.
Bah, chissenefrega.
Suona il campanello. Stupidamente mi chiedo “perché” invece di “chi è” e questo la dice lunga sulla mia beata solitudine, desiderata e già persa.
È Caterina. Introdotta da una faccia che non promette niente di buono. Non che sia meno bella ma c’è una tensione forte nel suo volto e nervosismo nelle mani. Con gli occhi chiede aiuto, con le parole solo “scusa, posso entrare?”.
Tori canta “Tear in your hand”. Ah, le simpatiche coincidenze della vita!
Credo proprio che Caterina non sia in vena né di ridere né di sorridere. Perciò vado verso la cucina e lei mi segue, docile e silenziosa.
Prendo la farina e lo zucchero per la pasta frolla. Lei sa già cosa fare perciò riduce il burro a dadini e gratta della scorza di limone. Con le mani fredde, frega il burro nella farina, poi lo zucchero. Apro le uova e impasto velocissimamente. Metto l’impasto nel frigorifero, avvolto con la pellicola.
E poi esploriamo. Caterina prende un barattolo dalla dispensa delle marmellate, attirata dal colore ambra e dalla trasparenza. È la marmellata di fichi che ho fatto al termine dell’estate. In effetti il mio vanto.
È perfetta nel sapore e l’aspetto è magnifico: lucida, trasparente. Il sole è rimasto intrappolato nello zucchero, il profumo dei fichi echeggia di battaglie di bambini, corse nei campi, arrampicate sui rami più alti.
Lieve sentore di vaniglia, l’aroma allegro del limone.
Un sacchetto di mandorle. Caterina le trita ma senza ridurle in farina.
Ho delle chiare d’uovo.
Intanto Tori ha finito di cantare, tolgo il nastro e passo a tempi più moderni e magari un cd.
Qualcosa di più solare: Harmonia Ensemble e le “Dieci Danze”, che per me sanno di sole e aromi d’ambra.
Lo vedo, breve e furtivo, anche se , il viso chino, tenta di nasconderlo, malizioso, un sorriso. Caterina!
Stende la pasta, un rettangolo stretto e lungo, diciamo 20cm per 50cm circa, mezzo centimetro di spessore.
Sulla pasta stesa, riccamente spalmo la marmellata di fichi.
Arrotolo la pasta in un lungo salame e lo avvolgo stretto nella pellicola. Ora dovrà rimanere in frigorifero finché non si sarà indurito.
Caterina stende un altro rettangolo di pasta.
Alle mandorle grattugiate più sottili mescolo con un 10% di polvere di mandorla amara. Unisco la chiara d’uovo, mescolo un poco e poi stendo l’intruglio sulla pasta stesa. Sesta danza. Sorrido e inspiro profumo di mandorle. Danza sesta. Sguardo d’intesa. Non sempre la vita ha fretta.
Caterina arrotola la pasta, come ho fatto io prima, la chiude nella pellicola e mentre aspettiamo che il freddo faccia il suo corso ci scaldiamo con un infuso di erbe e liquirizia.
Affetto il “salame” con la marmellata di fichi, faccio fette dallo spessore di circa un centimetro, pigio le superfici laterali nella granella di mandorle e adagio sulla teglia. Caterina affetta l’altro salame nello stesso modo e mette le rotelle così ottenute su un’altra teglia.
La settima danza ci irradia buon umore che lo vogliamo o no. E lo vogliamo. Fingiamo un balletto con le teglie in mano.
In forno a 180° per 15, 20 minuti.
Mandorle e ottimismo.
In questa foto, sfido il tempo e i ricordi: siamo belle, siamo vere, siamo sincere.
Perse o no. L’amore o no. Almeno non stiamo barando.
Le risposte arriveranno.