Il fascismo, però, “soprattutto i fascisti di qui non accettavano il borgo medievale, le devozioni, e hanno raddrizzato via Cavour (allora via Corsica, ndr) perché immaginavano e desideravano una Fidenza squadrata, come un castro romano e così facendo hanno messo da parte il Duomo”. Don Aimi dice che il borgo “borghigiano” si è sviluppato intorno alla chiesa, il castro romano, invece, l’antica Fidentia era più in là, oltre la piazza, verso la chiesa di Santa Maria.
La vicenda del cambiamento del nome è lunga e complessa. L’idea tardo risorgimentale del garibaldino e deputato Luigi Musini (Samboseto 1843 – Parma 1903) viene presa sul serio cinquant’anni dopo, con foga, dai fascisti della prima ora che desiderano rinnovare ogni cosa ad ogni costo. Il 12 Giugno del 1927, Anno V dell’era fascista, “Per Decreto di Sua Maestà il Re, auspice S.E. Benito Mussolini, Borgo nostra assume da oggi l’antico suo nome romano: Fidenza. Iscriviamo questa data fra le più fauste per il nostro Comune: è il segno di un’Epoca”. Così inizia il discorso del podestà Nino Censi ai suoi concittadini. Così si cambia un abito, forse solo un po’ liso, ma di ottimo taglio, in cui la comunità stava da secoli perfettamente a proprio agio, per una camicia nera. Può ben essere che già da tempo immemorabile la diocesi, per questioni di dignità formale, fosse “di Fidenza”, ma l’abitato era Borgo, anche per gli eruditi. Lo testimonia una delle carte geografiche della biblioteca del convento di San Giovanni a Parma, dipinta ad affresco nel 1575, che riporta la dicitura “Borgo S. Donino”.
I borghigiani da sempre sono gente allegra, ospitale, generosa, chiacchierona. Del periodo fascista sono i grandi eroismi locali. Al cimitero, in fondo a sinistra, una lapide ricorda il “Sottotenente pilota Antonio Panini, dottore in Legge, laurea ad honorem in Scienze Politiche, tre volte volontario di guerra 18.3.1914 – 30.6.1942”. L’entusiasmo e l’esuberanza sono sempre alle stelle. Nel 1934 “alcuni fidentini mangiarono del leone”, un leone. “Il fatto ebbe subito una risonanza nazionale”.
L’onorevole Remo Ranieri qualche volta portava la camicia nera, “di seta nera”.
Il canonico Bianchi, irriso perchè, soffiandosi il naso, immergeva tutta la testa dentro un enorme fazzoletto bianco, nel commissionare la nuova sede della Banca Cattolica in piazza Garibaldi, aveva raccomandato al progettista di erigere un palazzo in cui fossero evidenti, molto visibili, teste di leone, colonne, ricchi capitelli e finestre bifore.
Il palazzo è ancora lì, ricco, da vedere. E’ la casa in cui hanno sempre abitato i Campanini, famiglia storica di Borgo. Nel 1853, Luigi e Fernando scoprirono i resti mortali di San Donnino. I fratelli Gino, Pippo e Vincenzo nati tra il 1898 e il 1913 erano molto simpatici, quello serio e compassato era Gino. Pippo è nella mitologia, Vincenzo, “Cenzino” per gli intimi, in famiglia, dai nipoti, era chiamato affettuosamente “lo zio bestia”. Con la fionda era un asso, prendeva il sedere di un barboncino a venti metri di distanza da una macchina in movimento. Quelli di Salso, a passeggio con la padrona in viale Romagnosi alle sette di sera, erano tutti suoi. Mio padre me lo raccontava sempre. Pippo aveva molti amici di fuori, gente nota, intellettuali, giornalisti, musicisti, scrittori come Indro Montanelli, Attilio Bertolucci, Mario Soldati. “Gli amici di Pippo”,scrive don Aimi nella prefazione di Lettere a Pippo carteggi di Giuseppe Campanini (dal 1943 al 1980),”sono diventati dei patiti borghigiani che arrivano perfino a rifiutare nell’indirizzo il nome romano di Fidenza”.
Edoardo Fornaciari
Parma, 2005
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