Filetto: Simbologia nascosta? Un gioco misterioso

Creato il 15 ottobre 2014 da Associazione Culturale Archeologia E Misteri @acam2000
dott.ssa Beatrice Emma Zamuner per Acam.it Università degli Studi di Firenze

A molti sarà capitato di giocare al filetto su qualche tavola di legno dopo aver tentato, magari inutilmente, di sconfiggere l'avversario nel gioco degli scacchi o della dama.

Il filetto è un gioco da tavolo astratto tradizionale diffuso in gran parte del mondo. In molte lingue, come in italiano, il nome significa " mulino", in Italia viene chiamato anche mulinello, triplice cinta, tria, tris, tela e filetto; questi ultimi tre nomi vengono usati anche per indicare il gioco del tris propriamente detto, che si può considerare una semplificazione del mulino.

Per giocare al filetto si usano su un tavoliere costituito da tre quadrati concentrici, con segmenti che uniscono i punti medi dei lati corrispondenti dei diversi quadrati, e varie pedine. Ogni giocatore ha a disposizione nove pezzi, inizialmente posti fuori dal tavoliere. Durante la prima fase del gioco, i giocatori devono inserire, uno alla volta e a turno, i propri pezzi sul tavoliere. I pezzi possono essere collocati su un qualunque incrocio o vertice. Se un giocatore, posizionando il proprio pezzo, completa una linea di tre pezzi contigui, elimina dal gioco uno dei pezzi dell'avversario senza che si possano più reinserire. I pezzi allineati non possono però essere eliminati. Quando tutti i pezzi sono stati piazzati sul tavoliere, la prima fase termina. Nella seconda fase, il giocatore di turno deve spostare un proprio pezzo dalla sua posizione corrente a un incrocio o vertice libero adiacente. Se così facendo completa una linea di tre pezzi contigui, elimina dal gioco un pezzo avversario (come nella prima fase). Vince il primo giocatore a catturare sette pedine dell'avversario.

Questo il gioco, e le sue regole base.

I nostri antenati, tuttavia, non sempre disponevano di tavolette in legno e così hanno provveduto a rappresentare lo schema del filetto su occasionali supporti quali balaustre, pareti rocciose levigate dai ghiacciai oppure su lastre in pietra ben allineate in qualche chiostro monastico o casa civile.

Ricostruire la storia di questo "gioco" non è semplice: in Francia un'associazione archeologica[1], più di trent'anni fa ha avviato l'ambizioso progetto di localizzare quello che loro chiamano T.E. - triple enceinte - triplice cinta, ovunque esso si trovi e di farne un censimento a livello mondiale.

La ricerca, resa interessante soprattutto dalle numerose attestazioni presenti sul nostro territorio, è stata accolta con entusiasmo da un piccolo gruppo di ricercatori italiani, che da decenni tentano di trovare il bandolo della matassa stimolando il proseguio della ricerca[2].

La complessità in merito all'origine di questo gioco e la sua eventuale simbologia, costringe, tuttavia, a delimitare il vasto campo di ricerca: certi delle regole di questo antico gioco di origine orientale, attestato da numerose testimonianze letterarie, si è deciso di concentrare la ricerca nell'analisi di una serie abbastanza ristretta di filetti, la cui collocazione su supporti verticali, anzichè orizzontali pone seri questiti sulla loro reale utilizzazione; lo stesso vale per alcuni esemplari dalle dimensioni talmente ridotte da impedirne qualsiasi possibilità di gioco.

Gran parte di questi esemplari sono stati rinvenuti nei siti rupestri della Val Camonica e in numerosi siti del veronese (Garda, Bardolino, la Valpolicella). Ma è stato il rinvenirli in abitazioni civili o edifici religiosi che ha solleticato la curiosità degli studiosi: alcuni di questi ultimi esemplari, infatti, sono posizionati "in verticale"; vista la difficoltà di esecusione dei solchi su un supporto già "murato", si è ipotizzato che la realizzazione sia avvenuta in "orizzontale", con la tecnica a martellina, con successivo cambiamento dell'originaria posizione.

Per ampliare i nostri orizzonti possiamo ricordare come nell'arco alpimo il filetto compaia più volte in pareti rocciose verticali, sia eseguito con la tecnica a martellina, sia graffito, sia a polissor; lo stesso vale per gli esemplari in Austria[3], nella Val d'Assa sull'Altopiano di Asiago[4], in Valcamonica[5] e quelli del Bassin Parisien (Francia)[6]: notiamo come in tutti questi casi sia impossibile pensare che le pareti della montagna possano essere raddrizzate.

Al di là della comune posizione in verticale, tutti questi filetti trasmettono l'impressione che nonostante siano collocati in luoghi sacri, come nelle chiese, non rientrino, tuttavia, nella categoria dei simboli ufficiali religiosi, anzi, paiono piuttosto eseguiti da mano rapida e incerta, quasi furtiva.

Per quale motivo?

Nonostante siano tutt'ora attivi gli studi sulla simbologia del filetto e il suo censimento a livello mondiale[7], proviamo a chiarire.

A rigor di logica si potrebbe ipotizzare che alcuni filetti siano stati in origine dei reali, e utillizzati schemi di gioco. Col tempo poi, per qualche motivo al loro supporto viene cambiata la posizione. Altri, invece possono aver avuto da subito un significato squisitamente simbolico.

Nel primo caso, per le costruzioni architettoniche civili o religiose si può considerare applicata la pratica del "riuso" di materiale lapideo, una pratica conosciutissima fin dalla notte dei tempi - basti pensare che buona parte dell'arco di Costantino a Roma è realizzato e decorato con fregi di "seconda mano".

Nulla che meraviglia quindi, visto che era una prassi più frequente di quanto non si immaginasse, ma va notato che si è sempre tralasciato di considerare la secolare lotta che la Chiesa ha condotto contro i giochi, soprattutto quelli d'azzardo ove vi fosse l'impiego dei dadi, ponendone veto soprattutto agli ecclesiastici.

Si pensa spesso che il Medioevo abbia ignorato il gioco. Nulla di più falso. L' uomo del Medioevo amava molto il gioco; certo, ignorava quei giochi che potremmo definire in senso proprio "sportivi"; quei giochi cioè capaci di dar vita a veri e propri concorsi come erano stati praticati nell'Antichità e che le Olimpiadi moderne hanno risuscitato.

Nel Basso Medioevo si diffuse in maniera straordinaria la moda dei giochi d'azzardo, prima di tutto i dadi, largamente testimoniata nella letteratura e nell' arte. Teologi e predicatori come san Bernardino da Siena si scatenarono invano contro quella passione: sospinte dalla Chiesa, le città - in Italia per esempio - dovettero accontentarsi di controllare il gioco e cercare di limitarlo.

La Chiesa, fin dai suoi primordi espose chiaramente, già dal iv secolo, il suo parere negativo nei confronti di moltissimi giochi, salvo rare eccezioni. Uno studioso, Adelivio Capece, in uno studio degli anni Ottanta, sostenne che con una dura lettera, San Pier Damiani ottenne nel 1061 la condanna papale degli scacchi, perché i prelati dell'epoca spesso trascuravano gli interessi ecclesiastici er dedicarsi con troppo zelo a questo gioco.

Gli studi sui giochi praticati si concentrano in un arco cronologico che va dal xiii al xiv secolo, vero boom, ma sappiamo con certezza che molti di questi erano praticati già nei secoli precedenti.

Ampia era la varietà dei giochi d'azzardo dove si usavano i dadi, come nel caso dello stesso filetto e quasi tutti appartenevano alla categoria della pura fortuna, quindi,alla categoria dei giochi proibiti.

Proibirli era negare la possibilità che l'uomo si affidasse al controllo degli eventi di una dea pagana, Fortuna appunto, alla quale le "preghiere" per vincere erano rivolte.

Tenendo a mente questo, si potrebbe affermare che le pietre da gioco del filetto siano state volontariamente raddrizzate per impedirne l'uso[8].

E se la raffigurazione avesse avuto invece carattere simbolico?

Le più antiche documentazioni archeologiche riguardanti la presenza del filetto sul suolo italico ne attestano l'esistenza già nel primo secolo a.C.. Particolarmente significativa, anche perché databile con buona approssimazone, è la lastra in pietra calcarea, con incisi alcuni giochi, ritrovata nella necropoli romana di via dei Cappuccini a Brindisi[9].

Su di una faccia sono incise tre tabulae lusuriae, di cui una è un filetto, le altre due tris. Ma anche nell'area celto-gallica il filetto (T.E.) sembra comparire molto precocemente[10], come pure nel caso dei graffiti di Pian Cogno in Valcamonica[11].

Come già detto, i Francesi lo chiamano triple enceinte e alcuni studiosi attribuisce loro un valore magico rituale nell'ambito sacerdoltale druidico. Anche in questo caso, proprio l'aspetto pagano è una fondamentale chiave di interpretazione per questo atteggiamento repressivo che ha portato il gioco, in epoca cristiana, ad essere messo al bando.

Per comprendere, a questo punto il significato dei filetti posti in verticale, si potrebbe avanzare l' ipotesi di una damnatio dovuta alla luxuria ludi.

E' noto che nel Medioevo la scacchiera assurse a simbolo della ‹‹Gerusalemme celeste››, o meglio, che tale città ideale venisse rappresentata sottoforma di scacchiera più o meno rettangolare (non perfettamente quadrata) circondata di mura.

Raffigurazioni della "Gerusalemme celeste" su scacchiera

Ne fanno testo alcune miniature su pergamena dei secoli x-xii dove si nota una una triplice cinta muraria[12] con espliciti riferimento all'Apocalisse di san Giovanni (Ap., 21). Tra gli esemplari più antichi di raffigurazioni, va citato il mosaico paleocristiano di St. Peter in Holz (Carinzia, vi sec.) che, in un riquadro, riproduce una scacchiera (7×9)[13] analoga a quella del Duomo di Otranto (LE) datato al xii secolo e probabilmente raffigurante la città santa.

Noi possiamo ipotizzare che il filetto, dal momento in cui è rappresentato sull'altra faccia degli scacchi, o della dama, possa aver rappresentato la Gerusalmenne terrestre, ovvero una continuità alternativa secondo una visione dualistica, tipicamente manichea, che nel Medioevo andò a contrapporre la Chiesa da una parte (la Gerusalemme celeste) e lo Stato dall'altra, sulla scia di una lotta tra il potere spirituale del Papa e quello secolare dell'Imperatore[14].

Tuttavia il Medioevo è anche il periodo durante il quale giunsero in Europa, dall'Oriente, influssi culturali portatori di nuovi modelli iconografici: si prenda ad esempio la mandala indiana, diagramma simbolico caratteristico del tantrismo induista e buddista che rappresenta l'Universo.

Il simbolo può essere realizzato con intrecci di fili su telaio, tracciati al suolo con polveri di vario colore, dipinto su stoffa, affrescato sulle pareti dei templi o costituirne la pianta stessa.

Il diagramma della mandala, costituito da quadrati concentrici, simboleggia il viaggio che deve fare la conoscenza deve compiere per raggiungere l'integrazione con il Principio Universale; attraverso vari stadi di purificazione si giunge al mandala vero e proprio, cioè la città, cui si accede attraverso quattro porte corrispondenti ai quattro punti cardinali. Il simbolo cristiano corrispondente alla mandala, sarà il labirinto e rappresenterà il viaggio simbolico in sostituzione di quello in Terra Santa e a Gerusalemme (come nel caso delle cattedrali di Chratres e Lille in Francia).

La provenienza orientale è avvalorata dal ritrovamento, in una sinagoga di Cafarnao, di lastre pavimentali con incisi alcuni gioci, fra i quali tris, filetti, tris multipli e reticoli vari.

Un filetto lo si trova inciso sul cardo massimo di Gerusalemme datato fra il vi secolo e la ristrutturazione crociata di xii secolo.

Possiamo ipotizzare che l'introduzione massiccia di questi giochi in Europa possa essere avvenuta con il ritorno in patria dei crociati, o con la presenza di monaci greci basiliani che ne hanno lasciato tracce in alcune grotte del Gargano, non lontano da Vieste.

Degna di interesse la cerimonia religiosa cui si può assistere a Shravan Belgola, nell'India meridionale, durante la quale i gianisti procedono alla sacra lustrazione della statua di Bahubali alta 19 metri. In tale circostanza, che avviene ogni 12-15 anni, 1008 recipienti d' acqua, necessari al lavaggio iniziale della statua, vengono disposti dai monaci in modo ordinato e geometrico a forma di filetto, ovvero di mandala.

A questo punto pare logico domandarsi se lo schema del filetto non sia stato scambiato per un simbolo sacro, magari pagano; o che sia stato adottato da qualche setta religiosa cristiana non del tutto ortodossa (il mandala, ad esempio, serviva come simbolo per chiarire filosoficamente la natura della divinità oppure per rappresentarla in forma visibile allo scopo di adorlara).

Esistono dei filetti che al loro interno riportano connotazioni tipicamente cristiane.

Se pensiamo ai filetti rinvenuti in Italia, di cui buona parte in territorio veronese, murati in pietre sulle soglie di antiche case, per quanto possa essere considerata "sacra" per gli abitanti l'entrata alla propria dimora, affidare loro un autentico carattere sacrale sarebbe troppo, sarebbe più plausibile darl loro valore apotropaico, così da tenere lontano dalle dimore il male o le streghe.

Paura quindi della luxuria ludi, dell'azzardo, del culto della Dea Fortuna o del demonio?

Giorgio Gagliardi scrive:‹‹... Ci si è spesso domandati se esistesse una doppia faccia o una doppia interpretazione in una raffigurazione quale il gioco del filetto [‹‹mulinello›› nel testo originario]; gioco sì, ma anche simbolo, segno convenzionale, segno di riconoscimento, vero e proprio ideogramma necessario per lo svolgimento dei riti dell'occulto, magico-esoterici, spiritici ...nessuna meraviglia che anche il filetto invii un doppio messaggio, come gioco e come gioco pericoloso di destino preordinato, di mondi opposti›› ed afferma che ‹‹ il nostro filetto rappresenta anche il Creatore ridotto a misura d'uomo›› e ‹‹ un sentiero di salvezza eterna per tutti››[15].

Tutte queste ipotesi trovano conferma, e ulteriore precisazione, in un vecchio scritto di Louis Charbonneau-Lassay, riedito nel 1985, il quale afferma, proprio in uno studio dedicato al filetto, che esso non solo è un immagine della Gerusalemme celeste e la rappresentazione dei tre Mondi ( terrestre, firmamentale e divino) ma anche ‹‹ l'ideogramme de la portée de la Redémption sur le plan universel ››[16].

Sulla base di tutte queste osservazioni e studi, che trovarono una certa vitalità e risonanza attraverso alcune riviste francesi nella prima metà del xx secolo, anche lo studioso Stefano Salzani rilegge ora il filetto in chiave prettamente simbolica, sacra ed esoterica[17].

Quanto basta per condannare il filetto a stare in piedi, ritto sui muri, in attesa che qualcuno riesca a darne un quadro interpretativo più ampio ma specifico.

***

Le ricerche condotte dal prof. Christian Wagneur di Perthes (Francia) hanno portato alla catalogazione di più di 1078 esemplari graffiti o incisi (per lo più rnvenuti in incisioni riìupestri).

Al 2012, con le ultime edizioni, la quantificazione è notevolmente cresciuto[18].

Al 1997 il censimento comprendeva:

EUROPA= 1019

Albania (1), Germani (34), Austria (30), Belgio (5), Danimarca (3), Spagna (6), Francia (357), Gran Bretagna (93), Grecia (22), Ungheria (11), Irlanda (5), Italia (357), Norvegia (2), Portogallo (5), Svezia (1), Svizzera (35), ex cecoslovacchia (1), ex URSS (23), ex Jugoslavia (28)

AFRICA= 20

Canarie (16), Egitto (2), Libia (2)

ASIA= 39

Afghanistan (1), Arabia Saudita (1), Cina (3), India (5), Israele (7), Giordania (2), Sri Lanka (4), Siria (9), Turchia (6), ex URSS (1).

Nel caso dell'Italia, il numero di 357 filetti, sulla base di comunicazioni orale pervenute da numerosi studiosi e ricercatori può essere tranquillamente triplicato. Sia il dr. Gagliardi, la dott.ssa Uberti, che il prof. Gaggia di Garda (VR) portano avanti da più di tre decenni il censimento di tali testimonianze.

Invitiamo i nostri lettori, quindi a segnalare la presenza di filetti, ovunque essi si trovino, indicando possibilmente

  1. Località di ritovamento
  2. Supporto su cui sono rappresentati
  3. Posizione (orizzontale o verticale)
  4. Una foto o un disegno possibilmente in scala.

Si prega di inviare le segnalazioni al Centro Studi per il Territorio Benacense, ponendole alla c.a o del responsabile del progetto prof. Fabio Gaggia ( alla mail gaggiafabio@alice.it) o alla dott.ssa Beatrice Zamuner (bea.zamuner@gmail.com).

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NOTE
  • [1] Si tratta del Groupe d'études, des recherches e de sauvegarde de l'art rupestre, guidato del prof. Christian Wagneur, che ha pubblicato alcuni articoli sul filetto nel ‹‹ Bullettin d'information du GERSAR››.
  • [2] Gaggia 1972, 147-197; Gaggia, Pasotti 1976, 198-199; Gagliardi, Gaggia 1980, 219-235; Gaggia 1982, 47-48; Gaggia, Gagliardi 1986, 103-115.
  • Nell'inedito Corspus delle incisioni rupestri del Lago di Garda (CRIG) sono segnalati e schedati più di cento filetti.
  • [3] Burgstaller 1970, 144
  • [4] Priuli 1983, 51
  • [5] Priuli 1993, 37, 38, 40, 69, 80, 106, 107, 109, 204, 234, 237. Carlo Sebesta sostiene che i filetti (chiamati anche tria) appartengono alle ultime due fasi dell'arte rupestre camuna (tarda età del Ferro) e rappresentano un segno di devozione presso un luogo saco (Sebesta 1979, 199).
  • [6] Tasse 1970, 95-100. E' stato osservato che nelle grotte presso Fontainebleau il 70% dei filetti è inadatto al gioco.
  • [7] Del 2012 una delle utlime pubblicazioni che può offrire un'esauriente disamina sull'aspetto simbolico del filetto: cfr. Uberti M., Ludica, Sara, Magica triplice cinta. Storia, geografia e simbolismo del gioco del filetto, 2012.
  • [8] Un caso analogo, anche se ideologicamente opposto, avvenne per quelle immagini della Croce di Cristo raffigurata su pietre pavimentali delle chiese: queste vennero rimosse e murate in verticale per impedire che il sibolo venisse calpestato.
  • [9] Si tratta del filetto più antico a noi noto in Itaila. Poichè nel corredo della tomba (n. 15), databile tra il 50 a.C. e il 50 d.C., sono state rinvenute centinaia di pedine, si ritiene che il filetto (come il tris) sia stato un gioco e non un sibolo. Non conosciamo il nome che gli antichi Romani usavano, ma a riguardo Ovidio dice:‹‹...questo gioco vien fatto con tre pedine per ciscun giocatore su una piccola tavola adatta allo scopo; per vincere bisogna riuscire a portare tre pedina su una stessa linea››; è probabile che parlasse appunto del gioco del tris.
  • [10] Il più antico filetto trovato in Francia è inciso su di una tegola ed è stato datato tra il 100 a.C, e il 40 d.C. ed è conservato al museo di Nissa - lez - Ensérune).
  • [11] Cfr. Pruli 1993.
  • [12] Gatti Perer 1983, 150-155
  • [13] Cfr. Pauli 1983.
  • [14] Secondo René Guenon la stessa triplice cinta si identidica con la Gerusalemme celeste e il duodenario costituirebbe la gifura nella quale gli antichi astrologi iscrivevano lo zodiaco ( cfr. Charbonneau - Lassay 1985, 14).
  • [15] Giorgio Gagliardi è il massimo studioso italiano dell'argomento. Cfr. Gagliardi 1996, 90-109, 113-142.
  • [17] Salzani 1997, Secondo gli scritto inediti medioevali rinvenuti e analizzati da Charbonneau-Lassay la cinta più grande, quella esterna, rappresenta la giovinezza, l'intermedia l'età matura, mentre il quadrato centrale rappresenta la vecchiaia e l amorte. La stessa idea viene espressa da Isidoro ( l. 18, can. lxiv) quando afferma che le tre linee (ternis lineis= tre riquadri?) sono distinte ‹‹propter aetates hominum››. In chiave ermetico-mistica medievale il filetto rappresenterebbe comunque la forza redentrice della morte di Cristo.
  • [18] Cfr. Uberti M., 2012.

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BIBLIOGRAFIA
  • Burgstaller e., Fellsbilder in den Alpenlӓndern in Österreich, ‹‹Valcamonica Symposium 1968››, Capo di Ponte (BS), 1970, 143-149.
  • Charbonneau-Lussay, La triple-enceinte dans l'emblématique cherétienne, ‹‹Atlantis››, 9-10 n. 21,4-9, riedito in ‹‹L'esotérisme de quelques symboles géometriques chrétiens››, Parigi, 1985, 9-20.
  • Gaggia F., Forme e simboli geometrici nelle incisioni rupestri del Lago di Garda, Padova (tesi di Laurea, Fac. Di Lett. E Filosofia), 1972.
  • Gaggia F., Le incisioni rupestri del lago di Garda, Vago di Lavagno (VR), 1982.
  • Gaggia F., Un gioco murato nella pieve di Garda, Centro Studi per il territorio Benacense, Vago di Lavagno (VR), 1997.
  • Gaggia F., Gagliardi M., Considerazioni sul gioco del filetto, figura ricorrente fra le incisioni rupestri, ‹‹Benaco '85››, 103-115, Torino, 1986.
  • Gaggia F., Pasotti M., Figurazioni a tecnica lineare in Comune di Garda (VR),‹‹ Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici››, xiii-xiv, 196-200, Capo di Ponte (BS), 1976.
  • Gagliardi G., Fascino, gusto, paura di magia, Asso (CO), 1996.
  • Gagliardi G., Gaggia F., Mulinelli del Triangolo lariano, ‹‹Triangolo Lariano››, 218-235, Canzo (CO), 1980.
  • Gatti Perer M.L., La Gerusalemme celeste. Catalogo della mostra, Università Cattolia del S. Cuore, 20 maggio-5giugno 1983, Milano 1983.
  • Gavazzi C., Gavazzi L., Giocare sulla pietra nelle incisioni rupestri, op. cit.
  • Priuli A., Le incisioni rupestri dell'Altopiano dei Sette Comuni, Ivrea, 1983.
  • Priuli A., Graffiti rupestri di Piancogno, Darfo Boario T. (BS), 1993.
  • Salzani S., La triplice cinta: itinerarium mentis in Deum, Roma, 1997.
  • Tasse G., Les pétroglypses du Bassin Parisien, ‹‹Valcamonica Symposium 1968››, Capo di Ponte (BS), 1970, 95-100.
  • Uberti M., Ludica, Sara, Magica triplice cinta. Storia, geografia e simbolismo del gioco del filetto, 2012.

Sezione: Archeologia e Storia

Info: Pubblicato su Acam.it, su richiesta e/o consenso dell'autore citato, da Redazione Acam.it


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