Film – “interstellar”: homo faber fortunae suae

Creato il 06 gennaio 2015 da Nontoccatepolifemo @Marco_Losno

Nel momento in cui nel mondo la vita ha terribilmente sempre meno posto, l’unica soluzione percorribile per gli esseri umani è quella di impiegare le proprie energie nella ricerca di una nuova sicura dimora, dove essi non si sentano fuori luogo.

Ecco spiegato il motivo per cui Cooper, ora agricoltore ma prima esperto pilota ed ingegnere aerospaziale, sceglie con coraggio di assumere il comando di una squadra della NASA e di partire in un lungo viaggio interstellare, lasciando i propri bambini nella fattoria di famiglia con la difficile promessa, però, di un suo futuro ritorno.

Un viaggio di speranza, perché in altro modo non si può definire, che parte dai campi recintati della tenuta agricola e si spinge verso lo spazio senza limiti dell’Universo.

«Tutto quello che può accadere, accadrà»: è con questo concetto che l’attento Christopher Nolan ci introduce alla missione degli esploratori, capace di tenerci incollati sempre più alla nostra poltrona, quasi fossimo noi all’interno della navicella, seduti vicino ai rombanti motori.

Allora il complicato viaggio intrapreso prosegue ed è stimolante rendersi conto di come l’uomo sia disposto a navigare nel buio della non-conoscenza pur di mantenere accesa la luce della vita.

Con la voglia di andare più lontano, in cerca di una “nuova Terra”, Cooper e tutti i suoi compagni di esplorazione devono spingersi oltre anche alle loro preoccupazioni e, in un intricato gioco ad incastri di dimensioni e complicate regole fisiche, si sviluppa una tormentata lotta contro il tempo (manca il tempo, il tempo non basta), di cui la relatività ed i suoi principi sono padroni. Pochi istanti trascorsi nello spazio più remoto, dove la navicella è immersa, corrispondono ad interi anni sul pianeta terrestre.

E di questo ne ha prova Cooper, guardando da «lassù» i messaggi-video inviati dai figli ormai diventati adulti, e ce ne accorgiamo anche noi, capendo nell’evolversi del viaggio che l’amore è l’unico elemento svincolato dalle dimensioni di tempo e spazio.

La storia si sviluppa così con un’alternanza di immagini Terra-Universo e ad un certo punto di questa tambureggiante sequenza si stagliano significativi paradossi, tra cui quello che contrappone un mondo martoriato da tormente di sabbia ad uno nuovo, ma non comunque vivibile, caratterizzato da onde enormi di acqua.

Incredibili, poi, i numerosi spunti filosofici che Nolan inserisce con silenziosa prepotenza nella vastità dell’argomento, come la profonda differenza tra il “tutto” visto in funzione del singolo individuo rispetto al “tutto” in funzione dell’intera specie umana; come anche la distinzione tra ciò che è possibile (o “contingente”) e ciò che invece è necessario.

E’ poi anche molto interessante la scelta del regista di voler sottolineare, con un tratto deciso, il desiderio che è proprio dell’uomo di condividere la sua esistenza con gli altri, via obbligata dettata dalla sua natura di animale sociale, di cui parlava anche Rousseau. Da qui, allora, l’attenzione si focalizza inevitabilmente sul particolare rapporto che esiste tra padre e figlia, nel caso specifico tra Cooper e Murph, rapporto che per alcuni tratti ricorda la storia di Armageddon, una delle pietre miliari del genere fantascientifico (1998, chi non lo conosce?), condividendone con quest’ultimo più di un’affinità.

La pellicola stimola alla riflessione e lo spettatore è portato ad apprezzare più volte la formidabile genialità del regista, ad un certo punto capace addirittura di rinchiudere l’immensità incommensurabile dello spazio in una piccola stanza e di intrappolare misure di tempo siderali in un piccolo orologio.

Ma forse – avvicinandosi il finale del film – più di ogni altra cosa ci sorprende capire che tutti gli ostacoli, anche quelli che parrebbero insormontabili, possono essere superati da quell’uomo che dimostra coraggio, è determinato ed ama la vita alla follia. Ed è questo, a mio parere, un forte messaggio che Nolan ci vuole recapitare, sicuro che la maggior parte del pubblico a cui egli si rivolge lo saprà immediatamente ricevere e far suo.

L’epilogo lascia lo spettatore senza fiato.

L’uomo del film riesce a trovare una nuova collocazione dal sapore decisamente dolce.

Noi invece – seduti di fronte allo schermo – sui titoli di coda realizziamo di sentire un vago sapore amaro in bocca: comprendiamo solo all’accendersi delle luci in sala che forse forse ci siamo persi qualcosa, nell’incredibile storia di Cooper. O no?

ML


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