Era atteso come uno degli eventi della terza edizione di Film Middle East Now: dopo averlo visto si possono davvero comprendere tutte le belle parole e i riconoscimenti che si sta meritando nelle sue apparizioni ai festival internazionali. Stiamo parlando di 5 Broken Cameras, realizzato dal palestinese Emad Burnat e dall’israeliano Guy Davidi. Il film documenta la drammatica situazione di Bil’in, un piccolo villaggio palestinese occupato dall’esercito israeliano, che qualche anno fa vi ha eretto una barriera, espropriando di fatto i terreni agli abitanti del luogo che vivono solo grazie ai prodotti della loro terra. A filmare questo straordinario documentario è Emad Burnat, nato e cresciuto a Bil’in, che ha vissuto sulla propria pelle la drammatica trasformazione della sua terra, da libera a occupata militarmente da un esercito straniero che reprime in modo brutale e disumano ogni pacifica dimostrazione. Alla nascita del suo quarto figlio, nel 2005, Emad acquista la sua prima videocamera con cui è intenzionato a filmare le manifestazioni degli abitanti del villaggio contro la barriera eretta dallo stato di Israele all’interno del loro territorio.
Assistiamo increduli a quanto ci viene mostrato dal regista-operatore: da una parte ci sono i dimostranti pacifici che imbracciano le bandiere palestinesi e dall’altra un esercito in tenuta da guerra che spara ad altezza d’uomo e lancia a ripetizione granate lacrimogene contro la folla. Si prova sgomento e orrore davanti a tutto quest’odio, a questa feroce violenza e disumana aggressione nei confronti di uomini, donne e bambini disarmati. In certi casi, ad essere feriti sono dei cittadini israeliani che manifestano, insieme agli abitanti di Bil’in, il loro dissenso verso le politiche del proprio governo, in altri casi attivisti provenienti da vari paesi.
Durante la visione del film si nota come i soldati israeliani siano perennemente infastiditi dalla presenza delle videocamere e non esitino, durante la repressione delle manifestazioni, a mirare e fare fuoco contro gli obbiettivi per distruggerle, senza preoccuparsi minimamente delle vite che mettono a rischio. Paradossalmente si ha come l’impressione che i militari diventino ancora più aggressivi e spietati difronte alle videocamere che documentano le loro azioni violente, tanto da indurci a pensare che la reazione da parte loro sarebbe meno furiosa se si trovassero dinanzi ad un nemico “tradizionale”, armato di tutto punto come loro. Emad, durante un’incursione dei militari all’interno del villaggio, afferma di sentirsi protetto dalla videocamera mentre riprende, ma subito dopo dice di rendersi conto che sia solo un’illusione. Una delle cinque videocamere che ha utilizzato in questi anni, per documentare ciò che avviene quotidianamente in questa martoriata striscia di terra, gli ha comunque fatto da scudo, proteggendolo da un proiettile esploso da un soldato e rimasto incastrato in essa.
Quando cominciano a rimanere uccisi sotto il fuoco israeliano alcuni abitanti del villaggio, Emad constata amaramente quanto sia arduo e difficile continuare a perseguire la via della non violenza difronte a tutto ciò. Solo nelle repentine incursioni delle camionette dell’esercito dentro Bil’in assistiamo ai lanci di pietre da parte dei palestinesi, che peraltro sottolineano l’enorme disparità di mezzi in campo tra i due popoli.
Boris Schumacher