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Diretto da Lasse Hallström, regista melenso per eccellenza (anche con qualche relativa riuscita, si veda "Le regole della casa del sidro"), è di certo uno dei peggiori adattamenti di una storia vera. E' un film che non parte mai, non trova mai una sua collocazione. Il regista diventa parzialmente invisibile, non perchè non calchi o ecceda, ma perchè non esprime nulla. L'ennesima pralina senza sapore, scaduta da tempo e insostenibile. Ci si limita a raccontare una storia che non c'è, nel senso che la si ambienta in epoca e spazio diverso, privando un simbolo della cultura e della storia (si pensi alla sua statua, prelevata per ottenerne materiale bellico nella seconda guerra mondiale e poco dopo ricostruita) giapponese della sua contestualizzazione. Il sentimento che scorre tra un animale e il suo padrone è un vincolo universale. E' davvero ridicolo, però, che per esigenze commerciali, si oltrepassi la storia di un singolo essere vivente e si arrivi a renderlo qualcosa che non è e non sarebbe potuto essere. La storia e i fatti accaduti sono già di per sè mutati con una semplice scelta di sceneggiatura attraverso una propria interpretazione, o nei casi più fortunati, in relazione a quelli che sono gli aspetti più appetibili di una vicenda a livello cinematografico. I film di fiction e i film biografici in un certo modo si intersecano, sempre e comunque; d'altronde l'intero cinema è fiction. C'è però una poetica e un continuità autoriale dietro delle biopic riuscite, non semplice trasferibilità del contesto e inserimento in un mondo occidentale più vendibile.La scelta di puntare su un altro Hachiko in un altro tempo e in un altro spazio con banalità pregnante e recitazione pessima, colonna sonora opprimente e ripetitiva, ripresa tradizionale televisiva, rende il tutto più indigesto. E senza struttura nè significato. Consigliamo il classico del 1987 "Hachikō Monogatari", che è fedele all'atmosfera e al tempo reale della storia e fa scendere qualche lacrima reale, e non manipolata da principio. Il cane è la cosa migliore, ma questo va da sè. Joan Allen è il seocndo motivo per la visione, anche se sbaglia copione e cade, anche lei, nel buonismo da fiction. Non pervenuto Gere.