Escape Plan – Fuga dall’inferno, Rai 2, ore 21,05.
Si ritrovano insieme in questo film i due action heroes simbolo dei fasti hollywoodiani anni Ottanta e allora rivali, Stallone e Schwarzenegger. Ma il box office non risponde e langue. Al suo primo weekend in Italia Escape Plan ha tirato su 562mila euro, mica tanti vista la stazza stellare dei protagonisti, in America neanche 10 milioni di dollari. Un flop. Eppure il film, un escape movie assai classico sulla scia di La grande fuga o Fuga da Alcatraz per capirci, non è male, è anzi decorosamente scritto, decorosamente girato, con una trovata narrativa di partenza non così banale. Allora? La spiegazione più diffusa data da siti emricani è che al pubblico dei venti-trentenni non importa niente dei due suddetti signori. Residuati bellici di un’altra era del cinema, di altre battaglie. Eppure neanche tre anni fa The Expendables (da noi I mercenari), non solo interpretato ma anche diretto da Stallone, fu un inaspettato exploit al box office. Strapiacque alle platee globali la reunion di tutti i forzuti dei bei tempi, Sly in testa, e con lui Schwarzie, Bruce Willis, Dolph Lundgren, Mickey Rourke. Certo, c’era anche Jason Statham ad abbassare un attimo la media anagrafica e ad acchiappare le ultime generazioni, ma il format era lo stesso. I soloni del marketing, che sono tanti, o almeno son tanti a spacciarsi per tali, dovrebbero fornirci maggiori lumi sul perché quel film andò così bene e gli altri che sarebbero seguiti no. Perché i risultati deludenti di oggi di Escape Plan confermano quelli dei film che hanno cercato l’anno scorso di rilanciare separatamente le carriere dei due, Jimmy Bobo (con Stallone) e The Last Stand (con Schwarzenegger). Forse la spiega sta, banalmente, nell’imbarazzo nel vedere due signori più vicini ai 70 che ai 60 (Stallone ne fa 67, Schwarzie 66) costretti ancora a esibire a uso della masse i bicipiti e a menare gente con 30-40 anni di meno e a fingere di essere imbattibili. Facile metafora di una generazione, quella dei babyboomers, che non vuole mollare e farsi da parte. Un po’ più di autoironia e senso della misura gioverebbero e renderebbero meno inattendibili avventure, scazzottate ed varie esibizioni muscolari senili. Comunque se facciamo finta che i nostri di anni ne abbiano 45 Escape Plan scorre via piacevolmente. Ray Breslin (Stallone) pratica lo strano mestiere di collaudatore di carceri. Si fa mettere in galera in incognito e da lì prova ad evadere. Ci riesce sempre, ovvio, evidenziando le falle del sistema di sicurezza e prescrivendo i necessari miglioramenti. Guadagna un bel po’ di soldi, e i suoi manuali sono libri di culto per gli addetti ai lavori. Finché lo buttano, con l’inganno, in un supercarcere chiamato mica per niente La Tomba, e stavolta non è per finta, come crede. Stavolta Ryan Breslin è un detenuto come gli altri, maltrattato come gli altri, sepolto lì dentro da qualcuno che lo vuole togliere di mezzo per sempre. Ma chi è il colpevole? E soprattutto, come uscire da lì? Da una struttura che ha perfezionato l’esperienza di Guantanamo, tant’è che molti sospetti terroristi sono stati ficcati lì dentro, e addio al mondo. Celle in verticale trasparenti dove ogni privacy è negata. Sorveglianti-aguzzini super armati con maschere in faccia a nasconderne l’dentità. Un direttore spietato che sorveglia con ogni mezzo tecnologico i prigionieri. Breslin sembra incastrato. Farà amicizia con il tosto Rottmayer (Schwarzenegger) e insieme progetteranno l’impossibile fuga. Provate a indovinare se ci riusciranno o no. Con un colpetto di scena finale non così sorprendente. Ora, vedere Stallone all’opera per scappare da quell’incubo sotterraneo (che poi sotterraneo proprio non è) è abbastanza avvincente. Quanto a Schwarzie, si imita a fare da spalla al mattatore e ad esibire la sua bella faccia ora rugosa che, se ben utilizzata, potrebbe combinare ancora qualcosa di buono al cinema. Il meglio Escape Plan lo dà nel comunicarci il suo incubo carcerario, l’aspirazione voyeuristica e totalitaria al Panoptikon finalmente realizzata. Dettaglio alquanto significativo: il film, pur con due star non propriamente amate da liberal e leftist, mena mazzate durissime a strutture alla Guantanamo e ai mezzi con cui si è combattuto e si combatte il terrorismo islamista-jihadista, compreso il waterboarding (e in una scena si applica la tortura dell’acqua). Anzi, l’islamista recluso nella Tomba è visto con simpatia e presentato come personaggio piuttosto positivo, alleato nella fuga dei due eroi. E questa, nel cinema popolare-mainstream made in America, è una novità da sottolinere. Finora il mercato in cui Escape Plan sta funzionando meglio è la Russia, dove Stallone e Scharzenegger ancora accendono entusiasmi. Non c’è da stupirsi, succede lo stesso con Albano e Romina.Escape Plan, regia di Mikael Håfstrom. Con Sylvester, Stallone, Arnold Schwarzenegger, Jim Caviezel, Faran Tahir, Sam Neill, Vincent D’Onofrio, Amy Ryan. Curtis ’50 Cent’ Jackson.
Si ritrovano insieme in questo film i due action heroes simbolo dei fasti hollywoodiani anni Ottanta e allora rivali, Stallone e Schwarzenegger. Ma il box office non risponde e langue. Al suo primo weekend in Italia Escape Plan ha tirato su 562mila euro, mica tanti vista la stazza stellare dei protagonisti, in America neanche 10 milioni di dollari. Un flop. Eppure il film, un escape movie assai classico sulla scia di La grande fuga o Fuga da Alcatraz per capirci, non è male, è anzi decorosamente scritto, decorosamente girato, con una trovata narrativa di partenza non così banale. Allora? La spiegazione più diffusa data da siti emricani è che al pubblico dei venti-trentenni non importa niente dei due suddetti signori. Residuati bellici di un’altra era del cinema, di altre battaglie. Eppure neanche tre anni fa The Expendables (da noi I mercenari), non solo interpretato ma anche diretto da Stallone, fu un inaspettato exploit al box office. Strapiacque alle platee globali la reunion di tutti i forzuti dei bei tempi, Sly in testa, e con lui Schwarzie, Bruce Willis, Dolph Lundgren, Mickey Rourke. Certo, c’era anche Jason Statham ad abbassare un attimo la media anagrafica e ad acchiappare le ultime generazioni, ma il format era lo stesso. I soloni del marketing, che sono tanti, o almeno son tanti a spacciarsi per tali, dovrebbero fornirci maggiori lumi sul perché quel film andò così bene e gli altri che sarebbero seguiti no. Perché i risultati deludenti di oggi di Escape Plan confermano quelli dei film che hanno cercato l’anno scorso di rilanciare separatamente le carriere dei due, Jimmy Bobo (con Stallone) e The Last Stand (con Schwarzenegger). Forse la spiega sta, banalmente, nell’imbarazzo nel vedere due signori più vicini ai 70 che ai 60 (Stallone ne fa 67, Schwarzie 66) costretti ancora a esibire a uso della masse i bicipiti e a menare gente con 30-40 anni di meno e a fingere di essere imbattibili. Facile metafora di una generazione, quella dei babyboomers, che non vuole mollare e farsi da parte. Un po’ più di autoironia e senso della misura gioverebbero e renderebbero meno inattendibili avventure, scazzottate ed varie esibizioni muscolari senili. Comunque se facciamo finta che i nostri di anni ne abbiano 45 Escape Plan scorre via piacevolmente. Ray Breslin (Stallone) pratica lo strano mestiere di collaudatore di carceri. Si fa mettere in galera in incognito e da lì prova ad evadere. Ci riesce sempre, ovvio, evidenziando le falle del sistema di sicurezza e prescrivendo i necessari miglioramenti. Guadagna un bel po’ di soldi, e i suoi manuali sono libri di culto per gli addetti ai lavori. Finché lo buttano, con l’inganno, in un supercarcere chiamato mica per niente La Tomba, e stavolta non è per finta, come crede. Stavolta Ryan Breslin è un detenuto come gli altri, maltrattato come gli altri, sepolto lì dentro da qualcuno che lo vuole togliere di mezzo per sempre. Ma chi è il colpevole? E soprattutto, come uscire da lì? Da una struttura che ha perfezionato l’esperienza di Guantanamo, tant’è che molti sospetti terroristi sono stati ficcati lì dentro, e addio al mondo. Celle in verticale trasparenti dove ogni privacy è negata. Sorveglianti-aguzzini super armati con maschere in faccia a nasconderne l’dentità. Un direttore spietato che sorveglia con ogni mezzo tecnologico i prigionieri. Breslin sembra incastrato. Farà amicizia con il tosto Rottmayer (Schwarzenegger) e insieme progetteranno l’impossibile fuga. Provate a indovinare se ci riusciranno o no. Con un colpetto di scena finale non così sorprendente. Ora, vedere Stallone all’opera per scappare da quell’incubo sotterraneo (che poi sotterraneo proprio non è) è abbastanza avvincente. Quanto a Schwarzie, si imita a fare da spalla al mattatore e ad esibire la sua bella faccia ora rugosa che, se ben utilizzata, potrebbe combinare ancora qualcosa di buono al cinema. Il meglio Escape Plan lo dà nel comunicarci il suo incubo carcerario, l’aspirazione voyeuristica e totalitaria al Panoptikon finalmente realizzata. Dettaglio alquanto significativo: il film, pur con due star non propriamente amate da liberal e leftist, mena mazzate durissime a strutture alla Guantanamo e ai mezzi con cui si è combattuto e si combatte il terrorismo islamista-jihadista, compreso il waterboarding (e in una scena si applica la tortura dell’acqua). Anzi, l’islamista recluso nella Tomba è visto con simpatia e presentato come personaggio piuttosto positivo, alleato nella fuga dei due eroi. E questa, nel cinema popolare-mainstream made in America, è una novità da sottolinere. Finora il mercato in cui Escape Plan sta funzionando meglio è la Russia, dove Stallone e Scharzenegger ancora accendono entusiasmi. Non c’è da stupirsi, succede lo stesso con Albano e Romina.