Film stasera in tv: IMMORTALS di Tarsem Singh (lun. 27 apr. 2015, tv in chiaro)

Creato il 27 aprile 2015 da Luigilocatelli

Immortals, Rai 4, ore 21,12.Un po’ Troy, un po’ 300 e parecchio Clash of Titans. Questo Immortals aggiorna il peplum all’età del fantasy e dei super eroi Marvel. Scontro tra buoni e cattivi all’ombra dell’Olimpo, con un terrorizzante Mickey Rourke quale villain. Ma il valore aggiunto lo dà il regista Tarsem Singh, gran talento visionario, che qua e là ci consegna immagini mirabolanti e monta una fantasmagoria spettacolare niente male (e piena di citazioni).Immortals, regia di Tarsem Singh. Con Henry Cavill, Freida Pinto, Mickey Rourke, Stephen Dorff, Luke Evans, John Hurt.Per Tarsem Singh, 50 anni e qualcosa, indiano però di formazione professionale angloamericana, una carriera di gran videoclippettaro e autore di commercial alle spalle (suo lo storico video di Losing my religion dei REM, roba della massima serie), questo è solo il terzo film. Troppo poco per un talento come lui, che sa creare mondi e visioni, e immagini vertiginose all’ennesima potenza. Immagini, anche, gratuite, spesso non piegate a fini narrativi ma autonome e autoreferenziali come macchine celibi. Solo che la sua partenza come regista di cinema è stato nel 2000 The Cell, dove incappò in Jennifer Lopez, una delle peggiori attrici dell’ultimo mezzo secolo, e povero lui ha faticato a riprendersi dal flop (e dal trauma). Gli ci sono voluti otto anni per il suo secondo film, The Fall, autofinanziato e girato in mirabolanti location di mezzo mondo – 28 paesi, qualcuno li ha contati – approfittando di dove lo portavano di volta in volta le varie commesse di commercial e video musicali. Altro flop, incassi miserabili, però qualcosa si è mosso, The Fall è diventato un culto per molti adepti sparsi qua e là per i continenti, ottenendo anche la benedizione di uno dei decani della critica americana, Roger Ebert: «Una follia, un’orgia di stravaganze, una caduta in discesa libera che dalla realtà ci conduce verso le rive di mondi incantati. Un’opera che vorrete vedere per il solo fatto che esiste: non vi sarà mai più un altro film come The Fall. Un’opera “assurda”, certo, ma io sto dalla parte di Werner Herzog quando dice che se non scoviamo nuove immagini, non possiamo che perire». Dopo parole così, e dopo aver dato un’occhiata a The Fall, la voglia di vedere questo Immortals, il suo terzo film, era grande. Finalmente per Tarsem (si fa chiamare così, solo con il nome) una produzione da milioni di dollari con tanto di 3D, anche se un po’ (parecchio) B-movie, e il risultato non delude. Anzi convince abbastanza. Immortals si sta profilando anche come il primo gran botto al box office del regista indiano, visto che al suo weekend d’esordio in Italia, Usa e resto del mondo ha registrato, se non stratosferici, buonissimi incassi: secondo da noi dopo I soliti idioti, primo sul mercato Usa con 33 milioni di dollari, primo in tutti gli altri paesi in cui è stato distribuito. Tanto da essere già rientrato in soli tre giorni di programmazione dei 70 milioni di dollari investiti, un budget alto ma parecchio lontano da quello che si possono permettere le majors (Immortals è una produzione semi-indipendente dove c’è di mezzo l’expat italiano a Hollywood Gianni Nunnari, uno che sa fiutare l’affare e il cinema popolare lo conosce bene).
Di diritto bisogna includerlo in uno dei generi che hanno fondato il cinema, quello del peplum, che dai tempi del muto kolossal (italiano) Cabiria non ha mai smesso, tra inabissamenti e repentini riaffioramenti, di percorrere come un fiume carsico Cinecittà, Hollywood e altre capitali della celluloide (e ora del digitale). Genere meraviglioso, in ogni senso, compreso quello della fantasmagoria spettacolare, con riferimenti sempre molto liberi alla storia antica e alla mitologia, sempre con un eroe muscoloso e muscolare messo debitamente a nudo a solleticare i sogni di onnipotenza e anche erotici del pubblico: eroe cui si oppongono malvagi di varia natura e disumanità. Immortals presenta parecchi dei cliché del peplum, e non è un limite, anzi semmai è un segno di fedeltà e di continuità con la tradizione, ed è però figlio soprattutto dei due film che in anni recenti hanno rifondato in America il genere, Troy di Wolfgang Petersen, ovvero l’Iliade adattata al gusto contemporaneo e al cinema degli effetti speciali, e 300, epica re-visione della battaglia delle Termopili secondo l’estetica graphic-novel di Frank Miller. Ma il film di Tarsem Singh, se prende molto da lì (soprattutto da 300), si contamina gioiosamente e spudoratamente anche con il fantasy, sulla scia dei vari Clash of Titans, con un occhio all’imprescindibile Signore degli anelli. La storia è un mescolone, abbastanza efficace anche se qua e là un po’ confuso, di mitologia classica e superomismi da supereroi Marvel, con qualche vago accenno alla storia antica. Il tutto scritto da Charley e Vlas Parlapanides, fratelli americani di origine greca che però dalle parti di Atene hanno anche vissuto parecchi anni e conoscono quasi fosse una storia di famiglia tutto quanto riguarda gli Dei dell’Olimpo e le vicende classiche.
Dunque, c’è un cattivo, anzi un mostro di malvagità, il tremendo re Iperione che non vede l’ora di mettere le mani su un arco magico che gli darebbe l’onnipotenza e la possibilità di vincere definitivamene la guerra che ha mosso agli Elleni, gente alquanto civilizzata che ha però il limite di essersi un po’ troppo smidollata negli ultimi tempi (il mantra dei suoi governanti è: con il nemico si tratta e si contratta, non si va alle armi), e che ha poi anche il torto di mantenere parte della popolazione in schiavitù, considerandola inferiore e subumana. Teseo è un poveraccio, nato da uno stupro, dunque relegato tra gli inferiori, anche se ha trovato un mentore che l’ha educato alla nobile arte del combattimento e l’ha trasformato in una invincibie macchina da guerra. Sarà lui a opporsi al perfido re Iperione, mentre lassù sull’Olimpo gli Dei, con Giove in testa, stanno a guardare, essendo chissà perché la loro regola quella di non intervenire nelle faccende degli umani. Naturalmente non manca la presenza femminile, anche se accessoria (nei peplum i protagonisti indiscussi sono i muscoli virili, mica altro), qui incarnata in una sibilla che ha i tratti di una delle più belle in circolazione, cioè quell’incanto di Freida Pinto (Slumdog Millionaire). L’intreccio dà modo a Immortals di scatenarsi, come si conviene a un peplum di nuova generazione, in scene cruente di battaglia, sadiche torture, viaggi agli inferi o giù di lì, esibizioni ed esibizionismi di mostruose creature di ogni tipo (minotauri ecc.), con effetti specialissimi titanizzati dall’uso del 3D. Funziona tutto piuttosto bene, lo spettacolo regge, con anche qualche guizzo che lo sottrae alla più piatta prevedibilità. Però non è, non riesce a essere una ridefinizione del genere come lo è stato, clamorosamente, 300. Di questo film non ha l’innovazione visuale, la compattezza stilistica ed estetica. Non ne ha nemmeno il respiro epico, anche se in Immortals la guerra è elemento narrativo centrale e le battaglie sono condotte con mano sicura. Però Tarsem Singh, da quel gran esteta decorativista che è, uno che lavora di bulino sulla singola scena, sulla singola immagine, sulle scenografie e i costumi, sa estrarre dalla materia narrativa che si ritrova per le mani singole sequenze notevoli, sa costruire visioni che lasciano in certi momenti ammaliati. Non ha mai la coerenza estetica che avevano Frank Miller e il regista Zack Snyder in 300, però non ne ha nemmeno la monotonia. Tarsem è uno che svaria, si diverte a reinventare la scena e l’immagine a seconda dell’andamento del racconto, fregandosene abbastanza di ogni coerenza e compattezza. Il suo cinema è piuttosto un flusso, dove si incastrano e magari si perdono cose eterogenee, però sempre abbaglianti, rutilanti, immaginifiche: in un impeto visuale dove si trova di tutto, citazioni delle culture più svariate e lontane, della pittura di Oriente e Occidente, e ancora la graphic-novel, il cinema fantastico, l’arte contemporanea. Smaglianti i costumi e le corazze dei buoni (Teseo e gli altri Elleni) e soprattutto dei cattivi, Iperione e la sua marmaglia. Corna, catene, lame, becchi, uncini, artigli, bagliori metallici. Volti e corpi trasformati in creature fantasmatiche, da sogno e da incubo, tra l’animale e l’umano con parecchia predilezione e molti slittamenti verso l’animale. L’antro del villain, Iperione (un Mickey Rourke che mette la sua faccia devastata e i suoi ghigni al servizio di uno dei cattivi più efferati e terrorizzanti degli ultimi tempi), affastella un toro metallico, strumento di tortura, che sembra venire dal vitello d’oro dei Dieci comandamenti di De Mille, e poi mascheroni classici tra Mitoraj e le muse inquietanti di De Chirico, teste bendate che paiono fuoruscire da una performance-installazione di Vanessa Beecroft, e sfondi metafisici ancora alla De Chirico. Sequenze folgoranti, come l’apparizione delle quattro vergini dell’oracolo, abbigliate come in una miniatura persiana o moghul, e che arabizzano o meglio islamizzano il repertorio visuale del peplum con una imagerie orientalista da harem (e sembra di vedere anche certo Pasolini che disinvoltamente rivedeva miti e storie della Grecia classica come Medea, come Edipo re, immergendoli in scenari visivi e in costumi nordafricani, yemeniti, anatolici). L’Olimpo di Immortals è una goduria per gli occhi, con quegli dei e quelle dee in abiti deliranti epperò sexy che non sarebbero dispiaciuti a Fellini (a proposito, c’è parecchio in questo film anche del Fellini-Satyricon), e con quel palazzo che sembra dipinto da Alma-Tadema. Un film, Immortals, che spesso è una fantasmagoria visiva notevole, e che però resta solo un buon prodotto, non riuscendo Tarsem a riscattarlo tutto, a sublimarlo in una vertigine visuale assoluta, operazione che gli riesce solo per singole scene, frammenti e dettagli. Si chiude però con una sequenza da urlo, la battaglia con i Titani, con quei guerrieri o pezzi dei loro corpi maciullati e smembrati che salgono vorticando verso il cielo, cui il 3D dà profondità, matericità e una potenza espressiva cone poche volte s’è visto ultimamente al cinema. Il 3D, per l’appunto. Resto della mia idea (vedi recensione di Pina di Wim Wenders) che sia più quello che toglie di quanto dà, e anche qui la regola si conferma. Per una battaglia finale esaltata dalla tecnologia degli occhialini, ci sono molti altri momenti in cui l’artificiosità ha il sopravvento, e l’accurato lavoro sull’immagina di Tarsem rischia di essere vanificato e banalizzato. Gli attori: di Mickey Rourke e Freida Pinto si è detto. Teseo, il protagonista, è un Henry Cavill dal muscolo giusto ma con faccia da bravo ragazzo, in fin dei conti non troppo supereroe. Il migliore è Stephen Dorff, nella parte del compagno scettico e womanizer di Teseo, forse il carattere più scolpito e complesso del film, il meno piatto, e Dorff vi porta – dandogli una sorta di sprezzatura dandistica – qualcosa della profondità d’attore acquisita l’anno scorso in Somewhere di Sofia Coppola, film che non ha avuto fortuna ma che per lui è stato una svolta. C’è anche, nella parte di Giove e abbastanza irriconoscibile, il Luke Evans che in Tamara Drewe era il ragazzotto di campagna oggetto di tutti i desideri.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :