Jack Reacher – La prova decisiva, Sky Cinema 1 HD, ore 21,10.
Werner Herzog è Zed
Strano, irrisolto thriller che cerca di coniugare le atmosfere e le ambiguità da giallo di una volta con il furore ipercinetico e l’isteria adrenalinica dell’action attuale. Con un Tom Cruise detective un po’ Marlowe un po’ eroe alla Mission: Impossible. Un film non privo di una sua nobiltà. Anche se, come ogni ibrido, rischia di scontentare tutti. Apparizione cultistica di Werner Herzog quale villain. Voto 6+
Doveroso ricordare che Christopher McQuarrie, sceneggiatore e regista di questo Jack Reacher (però non soggettista, essendo il film tratto da un romanzo di Lee Child), non è proprio l’ultimo arrivato. A lui si devono storia e script di I soliti sospetti, film dell’ormai lontano 1995 che resta ancora oggi, in my humble opinion, il migliore noir delle ultime decadi. McQuarrie da allora si è guadagnato il mio rispetto imperituro, avendo io adorato I soliti sospetti e continuando ad adorarlo (l’avrò visto una decina di volte), e dunque mi sono accostato a Jack Reacher con una qualche aspettativa e una buona predisposizione d’animo. Ripagate? In parte. McQuarrie non sfiora nemmeno i livelli di quel suo capolavoro, come regista è discreto ma abbastanza qualunque, intendo privo di un’impronta riconoscibile, e la storia che ci racconta non è il massimo dell’originalità, però ci consegna un thriller con potenti dosi di action non del tutto banale, non proprio appiattito sulle convenzioni del genere così come si è configurato negli ultimi anni. C’è un gusto dell’intrigo e dell’intreccio da vecchia scuola del giallo, c’è una detection che, come da tradizione, si addentra sinuosamente e con la necessaria lentezza nel solito verminaio a ricordarci che nulla è come appare e che la verità si cela sotto strati abbondanti di menzogne, coperture e maschere. È la parte migliore di Jack Reacher, quella più antica e polverosa se vogliamo, quella meno affine alla sensibilità del pubblico popcorn di oggi, ma anche la più nobile. McQuarrie ci immette pure una sensibilità di marca espressionista e weimariana (Mabuse, Caligari) per il male e le sue incarnazioni, per un mondo di penombre e ombre in cui regnano figure sinistre dai poteri quasi oltreumani e di metafisica (in)consistenza. Kaiser Söze, il memorabile e abominevole signore di I soliti sospetti, qui in qualche modo ritorna, replicato, anche se pallidamente, nel personaggio del boss mafioso. Il resto però è action adrenalinico, concessione necessaria ai gusti del pubblico e ai muscoli di Tom Cruise – 50 anni e non dimostrarli per niente -, che mena, insegue, si fa inseguire, carambola, colpisce di arti marziali alla maniera dei suoi Mission: Impossible. Lui è il Jack Reacher del titolo, ex militare americano ritiratosi a vita privata dopo averne viste di ogni in Iraq e di cui tutti, anche le più sofisticate agenzie federali, han perso le tracce. Il miglior detective che ci fosse laggiù nella sporca guerra a Baghdad, uno capace di cogliere indizi e tracce e dettagli che chiunque avrebbe trascurato, uno che “sa vedere la foresta mentre gli altri vedono gli alberi”. ‘Trovate Jack Reacher’, chiede uno sbalestrato deficiente malato di armi e violenza, pure lui ex soldato in Iraq, finito adesso in galera sotto l’accusa di aver assassinato a colpi di fucile cinque persone in una tiepida mattina di una linda città americana. Apparentemente, una di quelle inspiegabili stragi per opera di un folle cecchino solitario di cui ogni tanto si riempiono le cronache (nerissime) americane.
L’imputato sembra il colpevole perfetto, tutti gli indizi sono contro di lui. Ma lui si ostina con quel ‘Trovate Jack Reacher’, a lasciar intendere che solo il più bravo dei detective è in grado di scoprire cosa sia successo davvero. Nessuno gli crede, solo una cocciuta giovane avvocatessa prende le sue difese e pare dargli ascolto. Finchè Jack Reacher si materializza, tornando dal nulla all’improvviso come nel nulla era sparito, e riprenderà il suo antico mestiere indagando sul caso. Sa che quel ragazzo è un criminale, lo ha visto in Iraq perpetrare una strage, ma intuisce che stavolta le cose sono più complicate di quanto non appaiano. Come nelle più classiche detection la verità verà a galla dopo che l’eroe avrà messo in gioco se stesso per scoprirla e rischiato la pelle. McQuarrie allestisce il suo teatro dell’ambiguità e anche della crudeltà piuttosto abilmente, anche se privo di segno autoriale forte. Tom Cruise fa della sua inespressività un atout, trasformando il suo Reacher in una maschera fissa e quasi stilizzata alla maniera (come scrivono i Cahiers du Cinéma, e non si può non essere d’accordo) di certi personaggi melvilliani quali il Samouraï/Frank Costello di Alain Delon. Onore a Robert Duvall, irresistibile in un personaggio collaterale ma non troppo di vecchio marine e americano verace. Ma la vera trovata cinefila di McQuarrie è l’aver scelto per il personaggio del boss di origine russa Werner Herzog, in un ruolo di cattivo assoluto che, se ricorda alla lontana il Kaiser Söze dei Soliti sospetti, somiglia più da vicino all’Armin Müller-Stahl del cronenberghiano La promesa dell’assassino. E però questa attesa performance attoriale del più titanico e teutonico regista dei nostri tempi delude un po’, non è così minacciosa e sinistra come ci si aspetterebbe, l’accento (parlo della versione originale non doppiata) che dovrebbe essere russo resta invece inesorabilmente tedesco. Di efficace davvero ci sono quegli occhi, quello sguardo che, sì, fan proprio paura. Il film tuttavia, pur mantenendo orgogliosamente la sua anomalia di giallo di atmosfere, ombre e fantasmi, finisce col concedere molto, troppo, ai manierismi dell’attuale action adrenalinico e amfetaminico, finendo con l’essere unbrido che rischia di scontentare tutti: il pubblico ragazzino che vuol solo drogarsi di pim pum pam e mena-mena e vorrebbe più casino di quel che trova, e il pubblico più maturo che vorrebbe un qualcosa di meno isterico e furioso. Gli incassi americani, finora non malvagi ma un po’ al di sotto delle attese, e degli standard di un film di Tom Cruise, sembrano confermare le perplessità. Ulteriore mia personalissima perplessità: è mai possibile che l’avvocatessa e Jack Reacker quando il boss dice loro di chiamarsi Zed esclamino subito con la sicurezza di un concorrente secchione da telequiz: ma certo, Zed in russo vuol dire prigioniero! Corretto. Però scusate, io il significato di Zed l’ho appena appreso leggendo Limonov di Carrère (Adelphi). L’avranno letto anche Jack Reacher e l’avvocatessa? O magari avevano già letto Solgenitsin? Peerò, come son colti e informati negli action americani. Mah.