Film telecomandati: animal kingdom

Creato il 02 settembre 2015 da Veripaccheri
Animal Kingdom di David Michod con JamesFrecheville, Joel Edgerton,BenMendelsohn, Guy Pearce genere, drammatico Aus 201 durata, 115'
Da tempo il Cinema aussie sta raccontando la transizione attuale sbirciandola dal particolare punto di vista separato degli antipodi. Transizione tipizzata, come si sa - da quella parte del mondo come da questa - da talmente tanti tratti reiterati e interscambiabili che una sua malaugurata implosione comporterebbe scompensi su scala planetaria. Del resto, lo spartito e' questo, riporta stringate strofe ed un solo ritornello: avidità, attaccamento oramai quasi inconscio al denaro, nessun contatto o sporadico-turistico con l'ambiente naturale vissuto come mero magazzino per l'approvvigionamento di materie prime. E un quieto vivere sinistramente somigliante alla rassegnazione, spesso in conflitto con una condizione gemella ai limiti dell'esclusione sociale che a quella stessa rassegnazione, in fondo, non e' così estranea. Come pure, riduzione del dialogo a livorosa semi-afasia, frantumazione dei rapporti, ricorso alla scorciatoia della violenza, sempre più crudele - questa - sempre più insensata et...
Siffatti temi ben si sposano a narrazioni di ambientazione metropolitana o (con una certa assiduità in Australia) suburbana; a scampoli di esistenze o fatti consumatisi sul crinale spesso rosso-sangue della cronaca (in quei meandri, a dire, che intrecciano in un viluppo non di rado letale, impotenza, rancori senza sfogo e alienazione): a circoli viziosi che irrobustiscono le spire del crimine e mettono alla prova la resistenza del cosiddetto sistema. Ad uno dei molteplici crocevia di così stringenti e contraddittorie sollecitazioni, s'incontra un film come "Animal kingdom" di David Michod (qui all'esordio nel lungometraggio, alle prese con una vicenda ispirata ad eventi realmente accaduti e il cui ultimo parto, "The rover", e' reperibile su queste pagine) e la figura del giovane protagonista Joshua Cody, detto "J" (Frecheville) - elemento di frattura sul percorso delle oscillazioni di un gigantesco pendolo esistenziale - il nostro - animato nel profondo da un perverso motu proprio entro gli opposti punti limite dell'apatia, da un lato, e della crudeltà, dall'altro - il quale, e siamo solo agli inizi, seduto sul divano di fronte ad uno show televisivo, in attesa che i paramedici si presentino e rimuovano il corpo della madre vinto dall'eroina, si prepara a condensare una manciata di parole che, da li' in avanti, terra' sempre ben presente:
"Sono un ragazzo come gli altri... ragazzi che stanno dove devono stare e fanno quello che devono fare". La concretezza e la sottesa inderogabilità di un assunto del genere trova ben presto adeguato campo di applicazione allorché J si trasferisce nella casa/tana di nonna Janine, detta "Smurf" (Weaver), e dei suoi tre cuccioli, ognuno ben avvezzo alle arti varie della delinquenza: Andrew (Mendelsohn), detto "Pope", tipo scontroso e sfuggente, quanto spiccio nell'ideare e mettere in atto rapine; Craig (Stapleton), instabile, paranoico e attaccabrighe ma, a conti fatti, infantile spacciatore; e, infine, Darren (Ford), robusto e dai tratti gentili (stuzzicato spesso dai fratelli circa la sua presunta omosessualità) che - magari proprio in ragione di una qual autentica doppiezza caratteriale - si barcamena tra i lavori di "Pope" e i maneggi di Craig. Michod - con un accorto uso di movimenti laterali/avvolgenti della mdp - descrive il regno animale di questo aggregato umano, alternando inquadrature (dominate dal contrasto buio/interni, chiarore radente/esterni) che privilegiano i piani ravvicinati, a quelle in cui l'agitarsi nervoso dei singoli s'impone. Lascia, quindi, che l'ansia si accumuli, risolvendola pero' spesso - sottile perfidia - non nell'esplosione cruenta degli antagonismi interni al branco bensì per il tramite della matura leonessa. Janine, madre e nonna che abbraccia e bacia la sua carne qualunque sproposito l'hybris stravolta di questa abbia portato a compimento o stia ancora progettando. Nelle ore che scivolano uguali le une nelle altre, J prende così dimestichezza con le nuove dinamiche di gruppo: scambiando sovente con gli altri sguardi da vasca di squali, apprende lo stare al mondo regolato da schemi (prontezza di esecuzione, omertà, fedeltà/tradimento, progressivo montare della solitudine personale) difficilmente eludibili. Metabolizza condotte arcaiche, perentorie e brutali, affini ad una ferinità elementare ma implacabile che trova perversa continuità e paradossale linfa vitale in un deforme guazzabuglio fatto di silenzi inerti, di dialoghi che rimestando un'umanità esausta e perdente annientano, di fatto, ogni tensione condivisa che non sia quella della sopravvivenza purchessia: tutto nella prospettiva in apparenza risolutiva del procacciamento del denaro/cibo. Ed, in un senso più vasto, dilaga, questa suddetta ferinità - finendo d'incistarsi - nelle periferie amorfe e silenziose, la cui desolazione, materiale e morale, sembra essere solo il portato più evidente - oltre che un grido roco nel vuoto - del contrasto radicale tra l'incedere normalizzatore della ragione tecnica e l'immanenza di un paesaggio, per quanto sfigurato, ancora minaccioso perché irriducibile. Lo zoofamiliare dei Cody percorre, in tal modo, le linee già tracciate di una stanca ripetizione, cui nemmeno la controparte sana pare davvero opporsi (la Polizia - con al centro delle indagini il determinato sbirro Nathan Leckey/G.Pearce - utilizza con cinica risolutezza metodi non meno ambigui e spietati di quelli che le vengono riservati) eternando una sorta di transumanza a perdere sui sentieri dell'indifferenza e della distruzione di se'.
Avvolto in un impassibile disincanto, gli equilibri del quale s'instaurano e si sbrogliano secondo le disposizioni di un rigido determinismo a base d'istintualità cieca e prevaricazione, "Animal kingdom" si offre come testimonianza di un malessere allo stesso tempo diffuso e anestetizzato dalla noia e dal disgusto; come il referto australe cui non resta che riordinare - per quanto possibile - reperti degradati di un'infezione che, pressoché indisturbata, ha raggiunto, giorno dopo giorno, anche il cuore di J, degno conquistatore sul campo di un proprio posto al sole nella catena alimentare. TFK

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