L'arte di vincere - Moneyball
di Bennett Miller
con Brad Pitt,Jonah Hill, Robin Wright, Philip Seymour Hoffman
Usa, 2011
genere, drammatico, sportivo
durata, 126'
Cinema e sport non sono quasi mai un connubio vincente. A
limitarne l'efficacia giocano soprattutto due fattori: la mancanza di empatia
verso discipline attraversate da regole complicatissime, per di più alimentate
da una tradizione che riguarda solo pochi adepti. E poi l'accostamento con una
visione della vita che rispecchia un punto di vista prevalentemente maschile. Ed
anche "Moneyball" occupandosi di un manager di una squadra di
baseball alle prese con la scommessa di rendere competitiva una compagine
allestita con pochi mezzi e molta inventiva, non si distacca dal quadro appena
descritto.
Eppure dopo qualche minuto ti accorgi che pur continuando a
parlare di tattiche e di mercato nella speranza di compiere il miracolo, il
personaggio di Billy Beane nella sua (titanica) impresa di competere con i
moloch di uno sport che anche in America ha subordinato il gesto atletico al
potere dei soldi, appartiene di diritto alle grandi figure romantiche che prima
il cinema e poi la letteratura hanno saputo rendere immortali. Icaro
contemporaneo per la voglia di infinito racchiusa nel sogno di invertire le
sorti di una sconfitta annunciata, Billie è il capitano di una nave alla caccia
della balena bianca, con il mitico cetaceo sostituito dall'altrettanto
leggendario titolo delle world series che nel mondo del baseball rappresenta il
successo più alto a cui si possa aspirare. Ed è proprio nel tentativo riuscito
di ricostruire la vicenda emotiva e psicologica che scandisce le varie fasi di
questa rincorsa, come al solito costellata dallo scetticismo e dalla mancanza
di fiducia che da sempre circonda il visionario, che il regista compie il suo
capolavoro consegnandoci una vicenda che riesce a fare a meno dell'esibizione
muscolare ed estetica.
Rinunciando al campo da gioco ed alle discussione tecniche,
Miller ci parla di uomini e della paura di non essere all'altezza delle proprie
aspettative e di quelle degli altri. Una sfida con se stessi e con il proprio
inconscio che il film rende in maniera pragmatica, mostrandoci il protagonista
spesso in solitudine, a rimembrare i fantasmi di una promessa mancata (Billie
ha smentito il pronostico di chi ne aveva prefigurato una carriera da star) o
ad immaginare i risultati di partite che si ostina a non guardare per mantenere
le distanze di chi ha paura di innamorarsi di nuovo dell'oggetto del proprio
desiderio.
E poi circondandolo di figure sospese in una linea d'ombra
che impedisce loro di reagire alle difficoltà di una carriera ormai logora, o
mai decollata. Oppure di compagni d'avventura poco glamour come Peter Brand, il
genio della statistica che aiuterà Billie a convertire i numeri in giocatori da
comprare. Dal fisico corpulento e completamente assorbito dal suo mestiere
Peter è nella sua dimensione monotematica (ogni sua apparizione è legata ai
motivi del suo mestiere) emblema di un mondo chiuso in se stesso, alla ricerca
continua della prestazione. L'epilogo seppur rimandato nella conclusione alle
cronaca dei nostri giorni dove il manager Billie Beane non ha smesso di
inseguire la sua chimera, suggella nella scelta del protagonista, le ragioni di
un film che ragiona sul senso della vita. Immerso in chiari scuri caldi e
leggermente autunnali "Moneyball" è un esempio di come il cinema
classico sia ancora il modo per raccontare gli uomini e le loro storie. Brad
Pitt è perfetto nel tratteggiare i mezzi toni di uno spirito inquieto ma
deciso. Come lui tutti gli altri, in un ensemble di rara efficacia attoriale.
Questa sera in onda:
Cult, ore 21