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Filmare, riprodurre, conservare: riflessioni sul cinema e sul video

Creato il 03 agosto 2011 da Ghostwriter

exhumed_03E' interessante notare che tra l'atto di filmare (poco importa, al momento, se con la videocamera o con una cinepresa) e quello di riprodurre l'immagine o, magari, di conservarne una copia ci sono delle differenze e, soprattutto, non c'è alcun rapporto di dipendenza reale...In altri termini, tu puoi filmare e non riprodurre mai il girato (come quel personaggio di Lisbon Story di Wenders), e perciò puoi riprendere senza guardare. Tu puoi anche girare un video e non conservarne mai l'originale, semmai una copia manipolata (potere del digitale), perdendo ogni riferimento con una presunta "realtà". Credo che, rispetto alla fotografia, il cinema prima e il video poi (parente stretto della televisione, magari suo cugino "cattivo") hanno allontanato la coscienza umana dall'idea di "istante pregnante" (mito del fotografo à la Cartier-Bresson) per consegnarla ad un nomadismo dello sguardo del tutto nuovo. Salvo, poi, recuperare la fotografia come documento (still image) del video o come foto di scena. Come dice Sontag della fotografia nei libri, si tratta di una "immagine di un'immagine". Una metamorfosi stava avvenendo dal momento in cui abbiamo scoperto di poter filmare il mondo, magari con una telecamera leggera, una camera a mano. Su tutte queste cose esistono dei libri interessanti come quello, celebre, di Susan Sontag o il più recente di Geff Dyer. Ma non trattano che della fotografia, con il cinema e - a maggior ragione?- con il video non hanno molto a che fare. Non arrivano affatto al vortice teorico di un Deleuze, per dirla tutta! Bisogna leggere meglio, ad ogni modo, Bellour, Debray o Daney per comprendere il nostro attuale "grado estetico" che, con ogni evidenza, è legato al movimento e/o all'erranza. Epoca dei migranti, che forse vuol dire anche una certa nostalgia dell'Istante (Joyce, Cartier-Bresson) e del Tempo ritrovato (Proust)? Forse il più vicino a queste idee era Pasolini, guarda caso citato spesso da Deleuze nel suo lavoro-monumento dedicato al cinema.  Riprodurre un'immagine, fissa o in movimento, è diventato molto facile. Affrancati dalla pellicola, dai tempi di sviluppo e dai "costi di produzione", siamo diventati tutti (potenziali) fotografi e videomaker (ma naturalmente l'estetica non perdona e un fotografo o un videomaker mediocri rimangono tali al di là della tecnica). L'aspetto interessante non è questo, credo, ma il fatto che è diventato all'improvviso evidente che non importa più che cosa stai filmando...Volendo, qualunque cosa entra nel campo visivo dal momento che non c'è più l'ingiunzione (platonica? idealista? romantica?) dell'Attimo fuggente. Le nostre vite sono spesso banali, lo sappiamo, dal punto di vista (audio)visivo. Lo sguardo è rimosso da epoche di pregiudizi, da discorsi che cancellano ("eraser head" quotidiano). Ma ciò non definisce il campo del visibile...Al contrario, non ne è che l'inizio. Il inguaggio non è che l'anticamera dell'indicibile, ci insegnano i poeti. Tesi bizzarra che enuncio con qualche brivido: il cinema conserva una separazione tra l'immagine e l'immaginario (separazione tattica, visto che si fonda su questo la possibilità del racconto) che invece si perde nel video, o nella "videosfera" che popola sempre di più anche il web (You Tube e simili)? Il cinema è "conservatore" per definizione? Si perde, dicevo, anche nel senso della perdita (dépense) di Bataille. Non è un dispositivo, semplicemente, ma l'estensione di noi stessi che si modifica. Per questo motivo rileggo volentieri McLuhan, nonostante tutto.  Allora non è più così evidente che cosa, a cose fatte, conserveremo nel prossimo futuro nelle nostre videoteche: il flusso o l'oggetto? Entrambi, probabilmente, come già nel cinema. Tesi consolatoria, forse. Sempre più rapidamente, anche l'oggetto non si starà facendo evanescente? In un film si distingue il dettaglio dal campio medio o campo lungo; ma è come se il video (la videoarte, insomma) fosse nato per catturare il fuori campo...Quest'oggetto paradossale che non è nella scena ma incombe su di essa. 


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