Quando si inizia una ricerca scientifica, si ha in mente un’idea del mondo ? Detto meglio: tutti coloro che intraprendono una ricerca scientifica hanno a priori un riferimento filosofico, una qualche convinzione a priori che indirizzi le sue ricerche ? Non credo che quanto sto tentando di comunicare sia comprensibile a chi non ha lavorato in prima persona nel campo o a chi non abbia letto quanto scritto da (pochi) studiosi sull’argomento. Occorre fare esempi che siano contundenti e di segno univoco perché si capisca la portata di questo problema.
Uno di tali esempi è clamoroso ed ha fatto molto discutere oltre a farlo ancora. Si tratta di alcune concezioni alla base della fisica dell’Ottocento mentre si passava da un modo ad un altro di intendere i fenomeni naturali.
Non sarò esaustivo perché è impossibile esserlo in un lavoro non enciclopedico, ma alcune cose si possono ricavare qua e là.
In linea del tutto generale sul finire del Settecento vi è in Europa l’affermazione della ragione sulla metafisica. La metafisica, la religione, il cristianesimo, costituivano un baluardo dei sistemi di potere arcaici, violenti, autoritari. La lotta dell’uomo per emanciparsi da questo potere non poteva che passare attraverso la lotta contro il potere delle gerarchie ecclesiastiche. La situazione emblematica è quella francese dell’epoca della Rivoluzione. Se tentiamo di guardare questo periodo attraverso il cammino della descrizione fisica non ingenua del mondo naturale ci troviamo di fronte ad un paio di secoli molto significativi. Una descrizione razionale del mondo, sganciata da necessità o voleri metafisici, si ha con Galileo nella prima metà del Seicento. Si prescinde dal “Dio che ha voluto così”, dall’insondabile, dai misteri, dall’incomprensibile, da ciò che non può essere conosciuto, … e si inizia umilmente a descrivere le cose, fin dalle più semplici, cercandone delle leggi di comportamento valide dovunque nelle medesime condizioni. L’approccio è umile ma l’impresa è difficilissima perché si tratta, oltre alla difficoltà intrinseca dei problemi da risolvere, di costruire un vocabolario nuovo e soprattutto univoco. Galileo getta le basi di questo discorso praticamente infinito nelle sue uscite e l’indeterminatezza logica dei suoi lavori apre ad una gran quantità di altri ricercatori. Parallelamente però tutti coloro che affidavano le loro fortune ai misteri del mondo reagirono con brutalità e, finché ne hanno avuta la possibilità, hanno fatto di questa reazione strumento di morte intravedendo nei germi della conoscenza razionale una inesorabile caduta del loro potere.
Già Cartesio stravolge le cose realizzate con somma fatica da Galileo. La metafisica che era stata messa da parte per la comprensione del mondo naturale ritorna prepotentemente addirittura per la sua spiegazione. Se ci si chiede qual è la causa del moto, Cartesio risponde che è Dio e se l’indagine va oltre si scopre che il moto si conserva perché Dio mai toglie ciò che ha dato.
Con Newton l’approccio alla conoscenza del mondo cambia ancora. La strada seguita sembra essere quella di Galileo ma in realtà non è così. Vengono introdotte delle ipotesi su spazio, tempo e materia dentro le quali vengono sistemate le leggi fisiche. Non è più la sola esperienza alla base della conoscenza sensibile ma alla conoscenza razionale vengono sovrapposte teorie generali apparentemente impossibili da verificare sperimentalmente. Sparisce però Dio che resta come convinzione personale dello scienziato e non interviene nelle leggi del moto e del mondo. La cosa fece tanto scalpore che Newton dovette aggiungere un capitolo conclusivo al suo lavoro principale in cui diceva che era sottintesa la presenza di Dio dovunque, tanto più che, in assenza di conservazione dell’energia, era proprio Dio che ridava qualche colpetto a qualche pianeta che avesse deciso di smetterla di ruotare. Ciò non convinse tanto che la fisica di Newton verrà bollata come meccanicista (un quasi materialismo): il mondo, messo in moto da Dio, fa poi a meno di esso e continua da solo la sua marcia con leggi che l’uomo è in grado di scoprire e comprendere.
C’è intanto da fare una osservazione. Che c’entra Dio nella spiegazione del mondo ? La cosa poteva avere un significato in un’epoca in cui la Chiesa era infiltrata in tutti i gangli della società. Ma oggi ? Il riferimento religioso può essere una motivazione personale ma certamente non sociale. L’analisi di questo problema potrebbe portarci al di là della buona fede fino al convenzionalismo interessato. Ad esempio: essere in Italia contro la ricerca sulle cellule staminali embrionali se è del singolo individuo, un fatto di coscienza, non si vede perché un tale ricercatore non si dimette dal suo ente di ricerca. Più che mai non si vede perché debbano esservi norme che vietino tali ricerche negli enti pubblici. Ma tutto questo argomentare ci porterebbe troppo lontano e lo lascio qui.
Resta il fatto che, ancora a fine Settecento, Dio era un referente per ogni attività umana e, particolarmente scientifica. Più che l’evanescente Dio, il vero referente era la Chiesa che dalla ricerca scientifica temeva la messa in discussione dei suoi dogmi
metafisici. Se però si entra nella posizione personale, nelle convinzioni, del singolo ricercatore si scopre che egli abbraccia una determinata posizione o quella antagonista indipendentemente dalle sue convinzioni religiose. In particolare, personaggi che incontreremo come Ampère e Faraday erano ambedue credenti, direi molto legati alle loro convinzioni religiose di cristiani, pur sostenendo posizioni scientificamente opposte.
C’è piuttosto da chiedersi chi guida e può modificare un indirizzo di ricerca in senso lato. Può la scienza far cambiare posizioni filosofiche ? Oppure può la filosofia far modificare l’approccio ad una ricerca scientifica ? Le cose sono complesse da indagare ma sembra di poter dire che se qualche crisi nelle interpretazioni e descrizioni del mondo vi sono esse non sono dovute ad un intervento di una critica filosofica. Semmai è vero il fatto che novità in ambito scientifico comportano crisi nelle descrizioni filosofiche del mondo. Spingendo oltre queste note si può aggiungere che se la filosofia aveva un suo peso fino alla fine dell’Ottocento perché interveniva con qualche conoscenza di causa dell’argomento scientifico del contendere, da allora sempre più la scienza è rimasta a descrizioni complessive senza più comprendere cosa la scienza stesse facendo.
Mettiamoci più terra terra cercando di capire. Quando si è all’interno di un filone di ricerca e si sviluppano concetti già definiti, in genere, non si pongono problemi che invece si pongono di fronte ad un fatto nuovo che la natura ci offre. Per razionalizzare la novità occorre capire alcune cose. Innanzitutto se essa è riconducibile a fatti già noti e ciò è suggerito da un principio elementare al quale l’uomo ricorre, quello di maggior semplicità o, se si vuole, al principio del minimo sforzo. Se questa prima operazione non dà risultati iniziano ipotesi nuove che, mi spiace per chi crede il contrario, ma non vanno mai ad interrogare una posizione filosofica e tantomeno religiosa. Si tenta uno scanner delle conoscenze scientifiche che uno possiede per tentare di ricondurre la novità ad una di esse. Si forza la matematica nota per tentare di riportare un comportamento all’interno di una descrizione che, in linea di principio, torni con quanto si conosce. All’interno di questo approccio teorico si possono inventare ipotesi che però debbono avere verifiche interne molto strette. Se tali verifiche vengono trovate allora iniziamo a pensare che la nostra descrizione funziona e, solo dopo, cerchiamo di capire se è o meno riconducibile ai canoni noti ed accettati. Se qualcuno, ad inizio d’opera, avanza una teoria diversa senza che essa sia sostenuta da nulla (intendo da una qualche evidenza o trattazione formale), prima di accettare la nuova teoria si cerca in tutti i modi di ricondurre quanto sembra nuovo in ambiti noti. La nuova teoria proposta sarà sviluppata tentando di vedere se essa riesce a superare gli ostacoli eventualmente incontrati nella trattazione tradizionale solo se quest’ultima non è riuscita a essere esplicativa in modo convincente.
CONFLITTI
A fine Settecento venne scoperto uno strano fenomeno elettrico che sembrava non essere spiegabile con ciò che si conosceva. Non entrerò qui in tutti gli interessantissimi dettagli di questa storia perché l’ho già ampiamente fatto altrove. Mi interessa invece una comprensione rapida di quanto accadeva per arrivare a discutere altro. In quegli anni segnati da grandi sommovimenti politici, la fisica era diventata la regina delle scienze, in questo sostenuta anche da Kant che la esaltava perché era stata in grado di inserire nei suoi strumenti di indagine l’analisi matematica. Il grande scienziato esemplificativo del lavoro del fisico era Newton. Egli era riuscito a dare una descrizione del mondo che rasentava la perfezione: tutto era compreso e ricondotto, dal più elementare dei fenomeni alla gravitazione del sistema solare, a leggi semplici, a forze agenti tra corpo e corpo (non importa quali) lungo la linea retta che li congiungeva. Più in dettaglio questa azione rettilinea tra corpi avveniva quando essi erano distanti a piacere in un tempo zero. Ciò vuol dire che dato un corpo, messogliene uno vicino ad una data distanza, i due corpi iniziavano ad agire tra loro istantaneamente. E dire che una azione avviene in tempo zero vuol dire che essa ha una velocità infinita. Non so ed ora non interessa sapere se Newton si fosse reso conto di ogni implicazione; resta il fatto che tutto il mondo meccanico del grande scienziato era basato su ipotesi sottostanti enunciate con chiarezza all’inizio del suo lavoro (spazio, tempo, moto, luogo distinguendo tra assoluti e relativi, veri e apparenti, matematici e comuni). Nonostante però alcune definizioni definibili solo come metafisiche (spazio e tempo assoluti), Newton afferma di non inventare ipotesi. Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi; e nella filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni, e sono rese generali per induzione. Resterebbe da discutere il senso dell’ipotesi in Newton ma, per certo e come accennato, egli usa l’ipotesi ogni volta che essa manifesti la sua fecondità per comprendere, interpretare, studiare altri fenomeni; come punto di partenza, quindi, ed eventualmente da rimettere in discussione o da cambiare radicalmente quando la strada aperta da quell’ipotesi dimostri la sterilità della stessa. Sarebbe infatti del tutto impossibile fare scienza senza servirsi di ipotesi da indagare. L’importante è che alla fine il giudizio sia dell’esperienza e non di qualche tribunale, magari dell’Inquisizione.
Con Newton abbiamo a che fare con uno scienziato che inizia con ogni fecondità ad identificare la matematica e la meccanica attraverso una concezione realistica della prima, che ne rifiutava quindi l’astrattezza (in particolare il rifiuto dell’astrattezza, ad esempio, in geometria lo porta ad assegnare una realtà fisica allo spazio euclideo o meglio a sovrapporre le due immagini di spazio fisico e spazio euclideo). E’ una strada molto complessa perché richiede la comprensione del tutto astratta del dove appendere variabili e del come studiarle, del sapere distinguere tra variabili finite ed infinitesime (Considero qui le grandezze matematiche non come costituite di parti piccole a piacere, ma come generate da un moto continuo… Queste generazioni hanno veramente luogo in natura, e si osservano ogni giorno nel movimento dei corpi) e del fidarsi di quanto la matematica elabora. La matematica è quindi elemento indispensabile per testare la teoria ed essa fa tutt’uno con le impostazioni del problema perché permette di definire la univocità logica della teoria medesima e di ogni ipotesi introdotta. Ma prima di ricorrere ad una qualche teoria occorre l’attenta osservazione del fenomeno che dovrà essere compreso all’interno di dati oggettivi che lo circondano. Se si discute, ad esempio, di fenomeni cinematici occorrerà disporre di univoci concetti di spazio, tempo e luogo e la cosa non è per nulla banale. Newton dedica a questo difficile compito molte pagine arrivando alla conclusione che nel passato si era incorsi in molti errori proprio per voler considerare lo spazio, il tempo ed il luogo riferiti a cose sensibili (lo spazio come quell’ “entità” compresa da una determinata sfera, il tempo come qualcosa di legato al giorno ed alla notte e comunque a vari fenomeni periodici, il luogo come una nozione da riferire a particolari caratteristiche fisiche che differiscono appunto da quelle di altro luogo. Newton assegna invece una validità autonoma ai singoli concetti testé citati e, ad esempio, dà vita propria al tempo assoluto non legandolo, come era stato fatto nel passato, al movimento (ricordiamo che secondo Aristotele il tempo si desume dal movimento). Quello che, invece, noi percepiamo è il tempo relativo che ha attinenza con fenomeni per i quali è possibile misurare una durata. Anche per quanto riguarda lo spazio la situazione è analoga: noi percepiamo solo quello spazio che è oggetto di misure sensibili (spazio relativo) ma non riusciamo a renderci conto dello spazio assoluto proprio perché esso, essendo omogeneo e indifferenziato, non presenta, ad esempio, dei riferimenti dai quali partire per misurarlo. Il luogo, parte di spazio occupata da un corpo, è invece qualcosa di percepibile anche se rimane da riferirlo o allo spazio relativo o a quello assoluto. Definiti così spazio, tempo e luogo, discende facilmente la distinzione esistente tra moto assoluto e moto relativo, il primo essendo la traslazione di un corpo da luogo assoluto a luogo assoluto, il secondo da luogo relativo a luogo relativo. C’è subito da osservare: come mai Newton non sceglie il cielo delle stelle fisse come riferimento assoluto, e si imbarca invece in un’impresa che sarà poi oggetto di aspre critiche ? Egli era cosciente del fatto che ogni cosa che dovesse avere caratteristiche di assolutezza non doveva essere legata a cose sensibili ed anche se le stelle fisse avevano fino ad allora dato grosse garanzie Newton temeva (come poi è accaduto, ad esempio, con Mach) che in futuro non fossero più in grado di darle (Halley scoprì infatti nel 1718 che le stelle fisse non sono fisse). Newton in definitiva attrezza un possente apparato che ha lo scopo di rispondere ad ogni obiezione che potrebbe sorgere da una attenta discussione della sua fisica. Non entro ora in una valutazione sulla giustezza o meno dell’apparato che Newton mise su. Mi serve solo di osservare che egli ritenne indispensabile quell’apparato, un apparato che oggi neppure si cita quando si discutono le leggi del moto di Newton.
Per ciò che ora interessa si deve osservare che l’intero apparato newtoniano rappresentava un mondo ordinato in cui le azioni, dentro quello spazio fantastico (assoluto ed immobile), erano, come accennato, rettilinee, istantanee a distanza oltre ad essere azioni che variano con l’inverso del quadrato della distanza tra i corpi agenti
(1). Queste azioni sembravano non discutibili perché nessun fatto le metteva, almeno apparentemente in discussione. Come si comportava allora un ricercatore che si era educato sui testi di Newton ? Indagava i vari fenomeni ricercando azioni alla Newton. Può essere criticabile a piacere una tale posizione ma, a nessuno veniva in mente di ipotizzare azioni di tipo differente. E così si ebbero due effetti all’interno di tutto il Settecento: da una parte l’elaborazione scientifica crebbe poco perché i più ritenevano che Newton avesse fatto tutto ed era quindi inutile imbarcarsi in altre ricerche; dall’altra le poche ricerche che si facevano erano condannate alla ricerca di azioni alla Newton. In realtà quanto ora detto è un approccio che semplifica molto e non coglie qualcosa di molto importante che maturava in quel secolo. L’opera di Newton veniva analizzata in ogni dettaglio, scandagliata fino all’inverosimile attraverso una ferrea applicazione della matematica su di essa. Vi fu quindi lo sviluppo di una matematica estremamente avanzata e sofisticata, matematica che trovò applicazione nella Meccanica di Newton che fu trasformata in Meccanica Razionale. Ogni moto, ogni forza, ogni equilibrio venne studiato in ogni minimo dettaglio costruendo un apparato matematico che se da una parte era superbo, dall’altra scoraggiava molti giovani ricercatori a cimentarsi con esso. Sembrava che non si elaborasse niente in fisica se non fosse trattato matematicamente in modo esaustivo. Questo era un aspetto delle ricerche settecentesche. L’altro era l’individuare per forza azioni di tipo newtoniano (rettilinee, istantanee, a distanza) in ogni fenomeno che spuntasse empiricamente da qualche parte. E questi fenomeni spuntarono presto in ambito elettrico e magnetico, con spiegazioni o tentativi da parte di un francese e di un inglese. I primi, l’attrazione o repulsione tra cariche elettriche, furono studiati da Coulomb (circa 1780) che scrisse una legge di forza che è l’analogo elettrico della legge di gravitazione universale (la Legge di Coulomb funziona poco e solo sotto strette condizioni). Il secondo fenomeno, quello dell’attrazione o repulsione tra poli magnetici, ebbe ancora una legge analoga a quella di gravitazione universale ad opera di John Michell (circa 1750) ma purtroppo per lui era una vera bufala(2).
Quindi, agli inizi dell’Ottocento, la fisica di Newton spiegava praticamente tutto (restava in sospeso l’azione dei poli magnetici ed altre questioni relative alle trasformazioni di calore in lavoro)……
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Feature image, Newton ritratto da William Blake come il “Divin Geometra”.