di Rina Brundu. “Is animas”, su un piano strettamente pratico erano dolcetti, caramelle, frutta di stagione e l’occasionale ventino che i parenti, gli amici, i vicini di casa donavano a noi bambini quando, nel giorno dei morti, bussavamo alla loro porta con le mani tese e lo sguardo vagamente imbarazzato. Su un piano astratto erano regali fatti direttamente agli spiriti dei cari trapassati nella loro annuale ideale visita ai luoghi “vissuti”. A ben pensarci quello era uno dei momenti più veri nei quali in quegli amatissimi siti della mia prima infanzia si manifestava una spiritualità di tipo arcaico, sopravvissuta con stupefacente convinzione ad ogni tentativo di manipolazione religiosa e dottrinale. Formale. La nonna, per esempio, frequentava la Chiesa solo in occasione delle feste comandate ma, notavo, senza troppo entusiasmo. Diverso era invece il suo rapporto con quegli altri motivi di spiritualità che sapevano delle sue radici e di istintiva coscienza dell’Essere. Non era raro dunque che proprio in quelle serate di primo novembre, quando la coltre sopra il Gennargentu era già plumbea e a suo modo argentata di neve, e il vento spazzava le vallate vuotate di tutto e le straducole anonime e polverose, che lei si attardasse a raccontare faccende di vivi e di morti e storie incredibili a proposito del loro complicato interagire. Che il ritorno delle “anime” nei luoghi che avevano amato, odiato, sopportato, a seconda delle circostanze o del destino, non era limitato a quel tempo dell’anno e, a volte, sapeva risultare più fastidioso di un diplomatico scambio di dolcetti in occasione dell’usata ricorrenza. A sentire lei, infatti, le “anime” intervenivano nelle umane vicende più spesso di quanto sarebbe stato opportuno e, a volte, rifiutavano di farsi cacciare. Allora, occorreva usare modalità comunicazionali condivise, comprensibili ed accettate dai vivi e dai morti in virtù di un codice deontologico superiore che esulasse dal fisico e dal metafisico e trovasse una sua ragion d’essere nelle ottime ragioni ascrivibili ad ogni mistero mai perfettamente chiarito. Compreso. La nonna questi antichissimi insegnamenti non scritti li conosceva bene e alla sua maniera aveva spesso tentato di metterli in pratica. Credo perciò che fosse proprio in un’altra serata strana di un qualche passato novembre freddoloso che mi raccontò dei “passi pesanti” che, al tempo della sua gioventù, avevano rimbombato nella casa di una sua vicina. Bambina. Bambina che lei ritrovò sola, piangente, spaventata, seduta sui gradini davanti al portone della sua abitazione e determinata a non più rientrare in quella. Che a tendere l’orecchio, mi assicurò la nonna, quei “passi pesanti” – che avevano preso ad infestar la casa subito dopo la morte del suo proprietario – potevano essere uditi anche dal visitatore accorto. Gli udì persino lei quando si avventurò, guardinga, nella cucina abbandonata. E scurita. “Baedinde de custa omu, ca non es prus sa tua. A s’anima du tengiasa! (2)”. Ordinò, comunque, alla rumorosa presenza. E quella obbedì. Lentamente il suono dell’inquietante passeggiare si attenuò fino a scomparire del tutto. Per non tornare mai più. Che sulle cose delle “anime” le prime a non scherzare erano le anime stesse e a dirimere con loro si faceva meno fatica del ragionar coi vivi, nella certezza che il più delle volte non servissero… parole.
Dedicato. RB, Bank Holiday di Halloween, 2012.
Big Bang
Di anime
che
a volte
si sfiorano
Innescando
esplosioni
sopite
passioni
strane
sensazioni
E attimi di cielo
chiaro
Di anime
che
sono disegni
pensieri matrici
ideali capricci
antichissimi segni
E poi
si perdono.
Rina Brundu, 23 Giugno 2012.
Note:
1) Chiedendo le “anime”.
2) Vattene da questa casa che non ti appartiene più. Per il bene della tua anima!
Featured image Psiche, personificazione dell’anima nella mitologia greca. By Wolf von Hoyer (1806-1873). Photo taken by Oliver Kurmis on 14 August 2005, own work, source Wikipedia.
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