James McAvoy è uno con cui -dopo averlo visto in Espiazione- passeresti più che volentieri San Valentino.
Dopo averlo visto ne Il Lercio, invece, cambieresti piano di corsa, e bloccheresti anche il tuo telefono.
Prendi il Dom Hemingway di Jude Law e trasferiscilo in Scozia, fallo diventare da galeotto e ladro esperto, un detective che mira ad essere promosso ispettore ma che non per questo disdegna ogni crimine possibile: abuso di droga, di alcool, raggiri e piccole truffe ai danni di amici, doppi giochi con i colleghi per sminuirli di fronte al capo e agli altri, sesso promiscuo in quantità pur decantando le doti della moglie, che lei stessa ci declama, vogliosa come non mai.
C'è qualcosa che non quadra però in questa vita dissoluta e leggera, ci sono dei pesi, dei ricordi, che tornano a tormentare Bruce Robertson: un figlio, forse, un fratello morto prematuramente, problemi in famiglia che a poco a poco vengono svelati.
I suoi trip, i suoi momenti high si trasformano quindi in incubi ad occhi aperti che nemmeno il suo folle dottore sa curare.
Come fargli fronte?
Con più alcool, più droga, più innocenti -ma neanche tanto- scherzi.
Tra giochi erotici telefonici, sveltine in ogni angolo, Bruce ha però anche il compito di svolgere il suo lavoro, di risolvere l'omicidio di un giovane cinese pestato a sangue da un gruppo di bagordi, oltre che mantenere saldi i rapporti con il ricco amico Clifford e vedere un barlume di speranza negli occhi della vedova Mary, che ha cercato disperatamente di aiutare.
Un po' troppo, vero?
Un po' troppi rami in una trama che è sì ritmata, con quel piglio tutto britannico, pardon, scozzese, che da Trainspotting in poi ha fatto scuola.
Bruce si rivolge in camera, ammicca a noi, mentre parla e parla, ci spiega e ci avvolge nella sua parlantina veloce e nel suo mondo da lercio, osceno. Il mondo di Irvine Welsh da cui non a caso è tratto il film e che è anche produttore.
Immancabile così anche una colonna sonora DOC con grandi classici rivisti e rivisitati (si va da Born to be wild a Creep) che aumenta ancor più il godimento.
Ma quel qualcosa che no va, quei momenti troppo pesanti della seconda parte, rovinano una pellicola fatta apposta per essere goduta fino in fondo, per essere dichiarata geniale in quel suo colpo di scena che fa di McAvoy un idolo indiscusso che offre forse la sua prova migliore finora, e dei suoi comprimari (da Jamie Bell all'immancabile Eddie Marsan, da Joanne Froggatt a Imogen Poots) macchiette da adorare.
Un piccolo peccato, quindi, che lascia fuori dall'Olimpo dei cult un film che sembrava avere tutte le carte in regola per entrarci.
Ma d'altro canto, si applicano anche qui le stesse regole.
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