Sam Lawton scopre di possedere la capacità di prevedere apocalittiche disgrazie che stanno per accadere a lui e al suo gruppo di amici, attraverso visioni che si impadroniscono di lui e gli rivelano il suo imminente e tragico destino. Grazie a una di queste visioni riesce a sfuggire miracolosamente al crollo di un ponte sospeso mentre lo sta attraversando su un autobus. Tuttavia la morte lo insegue, così come tutti coloro che riescono a sfuggirle..."Final Destination 5", di Steven Quale, ha promosso in me riflessioni filosofiche sul Tempo e sull'impermanenza delle cose. Avete presente il "De brevitate vitae" di Seneca? Ecco, una cosa così. "Non multum temporis habemus, sed multum perdidimus", scrive ad esempio, il filosofo latino nel suo breve ma denso saggio. La saga di "Final Destination" la conoscevo fino a un certo punto (diciamo fino al terzo episodio?), così mi sono buttato su quest'ultimo capitolo in una modalità tra lo svogliato e l'incuriosito. Chi volesse un riassunto ragionato e molto ben fatto dei capitoli precedenti, può, anzi deve leggersi il nutrito post dell'amica Lucia qui. L'inizio non è male, e la lunga, anaforica sequenza del bus, che si ripete due volte nel sogno di Sam e nella realtà (filmica), lascia indubitabilmente sue tracce consistenti sulle nostre retine. Poi, nello srotolarsi dello script, la storia si sbrodola lungo le anse di un fiume metafisico che tuttavia non è in grado di sostenere e contenere nei suoi argini, un pò come se Quale volesse reggere la Tour Eiffel su una struttura lignea fatta di stuzzicadenti. Pura acrobazia concettuale iperbolico-adolescenziale, e nulla più. Sarebbe meglio dire "tardo-adolescenziale", ma dove comincia e dove finisce l'adolescenza, soprattutto oggigiorno? E' comunque evidentissimo che il film, come tutti gli altri della serie, parla a un pubblico di teenager. Ed è ovvio che sia così, perchè il tema del Tempo come consumazione e attesa della fine (della morte) inaugura le intense trasformazioni psicologiche dell'adolescente medesimo. Quando si è bambini il tempo è infatti infinito e la morte (la "Final Destination") non si pone come idea, come pensiero, o comunque è così lontana che non la si vede neppure. E' con la pubertà, cioè con una spinta radicale del Tempo Biologico, che il Tempo cronologico comincia, e con esso l'angoscia della brevità della vita. Questa nuova, tragica consapevolezza, a posteriori, è ben nota agli psicoanalisti, a quelli francofoni in particolare, che la chiamano apres-coup. Dicevamo che tutti i film di questa serie parlano ad un pubblico di adolescenti, gruppo assai sensibile al tema della morte, perchè comincia a vivere il trauma emotivo di un apres-coup che non aveva mai vissuto prima. A mio parere quest'ultimo capitolo parla la stessa lingua, ma lo fa in modo apparentemente più cupo, più "fiolosofico", giust'appunto. Ma è solo apparenza, ribadisco. Forse per questo il mio "controtransfert" di spettatore, sulle prime mi ha fatto tornare alla mente Seneca. Il problema esiziale di "Final Destination 5" è tuttavia che Quale non è Sant'Agostino, e nemmeno Seneca, e quindi tutto il teen-age spirit si banalizza assai rapidamente, soprattutto a causa di dialoghi da serial televisivo per liceali. Quando ad esempio il gruppo dei ragazzi sopravvissuti incontra il "coroner" (un algido e poco convincente Tony Todd), sembra che stiano discutendo a chi tocca tirare i dadi a Monopoli, piuttosto che della loro morte in quanto individui. Forse il nostro regista avrebbe potuto più agevolmente rimanere su un orizzonte da teenager-movie in quanto tale, come accadeva nel primo film della serie, piuttosto che muovere sottotesti pretenziosi sottobanco, senza poi svilupparli con la serietà che tali sottotesti avrebbero meritato, e anzi riduncedoli in brandelli un'inquadratura dopo l'altra. Quale filosogeggia senza essere laureato in filosofia, e pretende di potenziare e dare nerbo a tale modus operandi banalotto, attraverso sequenze da film apocalittico (la prima sequenza del ponte crollato è bella, ma rimane una gran baracconata da puro intrattenimento a sè, del tutto disarticolata dal resto dello script). Vi sono poi cadute dal sapore completamente puritano-yankee, che toccano addirittura livelli di masochismo fantozziano, cioè di inconsapevolmente comico: la morte dell'amico Isaac sotto gli aghi della vecchia agopuntrice sadica è l'emblema di questo puritanesimo castratorio di ogni espressione di libera sessualità. Il decesso di Isaac avviene infatti dopo una sequenza in cui il ragazzotto grassottello cerca di sedurre la bella cinesina della reception del centro massaggi. Tale seduzione finisce con una morte atroce, che si conclude con la decapitazione-castrazione finale. E non occorre chiamare in causa Sigmund Freud per cogliere questi grossolani svarioni ipo-simbolici dello script, davvero narrativamente tagliati a colpi d'ascia. Il film delude molto, in sintesi, dopo essere partito in quarta con una grande scena d'azione, di morte e di apocalisse che poteva anche fare ben sperare. Si decompone nel seguito come un cadavere esposto troppo a lungo al sole della canicola, e certo non rallenta tale processo il pre-finale orchestrato secondo un forzatissimo e incongruo stilema thrilling. Tale stilema si appoggia per giunta su un inverosimile conflitto tra Sam e Peter, figura, quest'ultima, peraltro molto debole e incapace di sostenere una caratterizzazione che non aveva mai trovato forza nel corso di tutta la pellicola. Al termine della visione il film risulta quindi tronfio, pompato, pseudo-filosofico e superficiale da qualsiasi angolatura lo si guardi, al punto da farmene sconsigliare la visione a tutti, fuorchè a coloro che sono bruciati dal sacro fuoco del completismo.Regia: Steven Quale Sceneggiatura: Eric Heisserer, Gary Dauberman Fotografia: Brian Pearson Montaggio: Eric A. Sears Musiche: Brian Tyler Cast: Nicholas D'Agosto, Emma Bell, Miles Fisher, Arlen Escarpeta, Ellen Wroe, Meghan Ory, David Koechner, Tony Todd Nazione: USA Produzione: New Line Cinema, Practical Pictures, Parallel Zide Durata: 92 min.
Sam Lawton scopre di possedere la capacità di prevedere apocalittiche disgrazie che stanno per accadere a lui e al suo gruppo di amici, attraverso visioni che si impadroniscono di lui e gli rivelano il suo imminente e tragico destino. Grazie a una di queste visioni riesce a sfuggire miracolosamente al crollo di un ponte sospeso mentre lo sta attraversando su un autobus. Tuttavia la morte lo insegue, così come tutti coloro che riescono a sfuggirle..."Final Destination 5", di Steven Quale, ha promosso in me riflessioni filosofiche sul Tempo e sull'impermanenza delle cose. Avete presente il "De brevitate vitae" di Seneca? Ecco, una cosa così. "Non multum temporis habemus, sed multum perdidimus", scrive ad esempio, il filosofo latino nel suo breve ma denso saggio. La saga di "Final Destination" la conoscevo fino a un certo punto (diciamo fino al terzo episodio?), così mi sono buttato su quest'ultimo capitolo in una modalità tra lo svogliato e l'incuriosito. Chi volesse un riassunto ragionato e molto ben fatto dei capitoli precedenti, può, anzi deve leggersi il nutrito post dell'amica Lucia qui. L'inizio non è male, e la lunga, anaforica sequenza del bus, che si ripete due volte nel sogno di Sam e nella realtà (filmica), lascia indubitabilmente sue tracce consistenti sulle nostre retine. Poi, nello srotolarsi dello script, la storia si sbrodola lungo le anse di un fiume metafisico che tuttavia non è in grado di sostenere e contenere nei suoi argini, un pò come se Quale volesse reggere la Tour Eiffel su una struttura lignea fatta di stuzzicadenti. Pura acrobazia concettuale iperbolico-adolescenziale, e nulla più. Sarebbe meglio dire "tardo-adolescenziale", ma dove comincia e dove finisce l'adolescenza, soprattutto oggigiorno? E' comunque evidentissimo che il film, come tutti gli altri della serie, parla a un pubblico di teenager. Ed è ovvio che sia così, perchè il tema del Tempo come consumazione e attesa della fine (della morte) inaugura le intense trasformazioni psicologiche dell'adolescente medesimo. Quando si è bambini il tempo è infatti infinito e la morte (la "Final Destination") non si pone come idea, come pensiero, o comunque è così lontana che non la si vede neppure. E' con la pubertà, cioè con una spinta radicale del Tempo Biologico, che il Tempo cronologico comincia, e con esso l'angoscia della brevità della vita. Questa nuova, tragica consapevolezza, a posteriori, è ben nota agli psicoanalisti, a quelli francofoni in particolare, che la chiamano apres-coup. Dicevamo che tutti i film di questa serie parlano ad un pubblico di adolescenti, gruppo assai sensibile al tema della morte, perchè comincia a vivere il trauma emotivo di un apres-coup che non aveva mai vissuto prima. A mio parere quest'ultimo capitolo parla la stessa lingua, ma lo fa in modo apparentemente più cupo, più "fiolosofico", giust'appunto. Ma è solo apparenza, ribadisco. Forse per questo il mio "controtransfert" di spettatore, sulle prime mi ha fatto tornare alla mente Seneca. Il problema esiziale di "Final Destination 5" è tuttavia che Quale non è Sant'Agostino, e nemmeno Seneca, e quindi tutto il teen-age spirit si banalizza assai rapidamente, soprattutto a causa di dialoghi da serial televisivo per liceali. Quando ad esempio il gruppo dei ragazzi sopravvissuti incontra il "coroner" (un algido e poco convincente Tony Todd), sembra che stiano discutendo a chi tocca tirare i dadi a Monopoli, piuttosto che della loro morte in quanto individui. Forse il nostro regista avrebbe potuto più agevolmente rimanere su un orizzonte da teenager-movie in quanto tale, come accadeva nel primo film della serie, piuttosto che muovere sottotesti pretenziosi sottobanco, senza poi svilupparli con la serietà che tali sottotesti avrebbero meritato, e anzi riduncedoli in brandelli un'inquadratura dopo l'altra. Quale filosogeggia senza essere laureato in filosofia, e pretende di potenziare e dare nerbo a tale modus operandi banalotto, attraverso sequenze da film apocalittico (la prima sequenza del ponte crollato è bella, ma rimane una gran baracconata da puro intrattenimento a sè, del tutto disarticolata dal resto dello script). Vi sono poi cadute dal sapore completamente puritano-yankee, che toccano addirittura livelli di masochismo fantozziano, cioè di inconsapevolmente comico: la morte dell'amico Isaac sotto gli aghi della vecchia agopuntrice sadica è l'emblema di questo puritanesimo castratorio di ogni espressione di libera sessualità. Il decesso di Isaac avviene infatti dopo una sequenza in cui il ragazzotto grassottello cerca di sedurre la bella cinesina della reception del centro massaggi. Tale seduzione finisce con una morte atroce, che si conclude con la decapitazione-castrazione finale. E non occorre chiamare in causa Sigmund Freud per cogliere questi grossolani svarioni ipo-simbolici dello script, davvero narrativamente tagliati a colpi d'ascia. Il film delude molto, in sintesi, dopo essere partito in quarta con una grande scena d'azione, di morte e di apocalisse che poteva anche fare ben sperare. Si decompone nel seguito come un cadavere esposto troppo a lungo al sole della canicola, e certo non rallenta tale processo il pre-finale orchestrato secondo un forzatissimo e incongruo stilema thrilling. Tale stilema si appoggia per giunta su un inverosimile conflitto tra Sam e Peter, figura, quest'ultima, peraltro molto debole e incapace di sostenere una caratterizzazione che non aveva mai trovato forza nel corso di tutta la pellicola. Al termine della visione il film risulta quindi tronfio, pompato, pseudo-filosofico e superficiale da qualsiasi angolatura lo si guardi, al punto da farmene sconsigliare la visione a tutti, fuorchè a coloro che sono bruciati dal sacro fuoco del completismo.Regia: Steven Quale Sceneggiatura: Eric Heisserer, Gary Dauberman Fotografia: Brian Pearson Montaggio: Eric A. Sears Musiche: Brian Tyler Cast: Nicholas D'Agosto, Emma Bell, Miles Fisher, Arlen Escarpeta, Ellen Wroe, Meghan Ory, David Koechner, Tony Todd Nazione: USA Produzione: New Line Cinema, Practical Pictures, Parallel Zide Durata: 92 min.
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