Dal cap.2:
Guarda dal finestrino, il mondo è un bagliore latteo e uniforme. Non si vede nulla, né case, né campagna, né il profilo dei capannoni in cemento della prima zona industriale.
Non ci voleva la nebbia.
Accelera di scatto e frena a un soffio dal paraurti che lo precede. Si sposta a destra, verso il ciglio, i battistrada che spiaccicano il pantano della banchina. Sferra un pugno al volante e impreca di nuovo.
Non ci voleva questo casino. Guarda l’orologio sulla plancia per l’ennesima volta. Si rimette a cavallo della mezzeria e concentra lo sguardo nel nulla. Nel bianco di fronte a lui non gli sembra di scorgere né sagome, né segni di fari. Trattiene il respiro, osserva la linea di mezzeria che sbuca dal nulla pochi metri più avanti. E’ intermittente, è di certo un rettilineo.
Accelera e si butta fuori.
Supera una, due, tre auto. La freccia che lampeggia. Un muro di ovatta umida davanti, un muro di lamiere a destra, attaccate l’una all’altra, come in un convoglio merci.
La linea di mezzeria diventa continua. Decelera e rientra, creandosi un varco tra i paraurti. Qualcuno suona. Dopo cento metri la strada piega a destra, dalla nebbia in senso opposto sbucano dei fari, seguiti da gusci di acciaio lerci, i vetri rigati orizzontalmente da scie di condensa.
Guarda dal finestrino. Platani scuri ora sfrecciano ai lati della strada. Alcuni mozzati, altri inclinati come denti guasti. Su alcuni, mazzi di fiori avvizziti, abbracciati ai tronchi con nastri da imballaggio.
La linea di mezzeria è di nuovo intermittente. Davanti a lui solo bianco. Trattiene il respiro ed esce in sorpasso.