Talmente condizionati dalla minaccia alla loro sopravvivenza, talmente presi dalla possibilità di essere esodati come cittadini qualsiasi, talmente spaventati dalla improvvisa consapevolezza della loro arrischiata precarietà, i tre segretari hanno dimenticato oltre alla buona educazione anche l’educazione civica, che, per loro in particolare, richiederebbe un ripasso, quanto la ragioneria per i ministri.
Per rendersi meno sgraditi con la loro lagnosa rivendicazione, avrebbero potuto opportunamente rifarsi alla maltrattata Costituzione che all’articolo 49 motiverebbe la loro esistenza in vita allo scopo di permettere ai cittadini di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Il finanziamento pubblico dunque avrebbe il fine superiore di favorire la partecipazione popolare all’attività politica, tutelando la indipendenza delle organizzazioni rappresentative dalla pressione di interessi provati e di parte.
Certo non si può non essere d’accordo con il Simplicissimus e con i tanti che pur convinti che la legge truffa del rimborso elettorale abbia indotto un sistema ancora più arbitrario, opaco e discrezionale del finanziamento pubblico cancellato dal referendum e che andrebbe trovata una soluzione per attribuire ragionevoli risorse alla politica purchè inserite nel contesto di regole severe e meccanismi di controllo trasparenti: una politica affidata solo al contributo dei privati è fatalmente destinata alla dipendenza del potere economico, alla creazione di diseguaglianze. Soffriamo ancora gli effetti contagiosi dell’acrobatica e disinvolta fondazione del Pdl grazie alla gigantesca fideiussione concessa da Silvio Berlusconi, padrone assoluto e dispotico del partito e della sua politica.
Proprio il costo delle elezioni annichilisce la pratica democratica, come dimostra il loro vertiginoso accrescersi negli Stati Uniti, dove le nuove opportunità di raccolta di fondi direttamente dai cittadini, rese possibili da Internet, non hanno affatto ridimensionato il potere delle grandi imprese private, favorite da una “liberalizzazione” del finanziamento privato imposta dalla Corte Suprema. Tanto che alcuni senatori americani ritirarono la loro candidatura: il tempo da dedicare alla ricerca di fondi superava ormai quello dedicato allo svolgimento dei compiti istituzionali. E infatti il teorico del bell’ossimoro dell’economia con giustizia John Rawls, ha provocatoriamente proposto che le campagne elettorali vengano finanziate solo da fondi pubblici eguali per tutti i candidati, proprio per ridurre lo strapotere del denaro.
Ma c’è da temere che solo una società matura, responsabile, storicamente e solidamente abituata a agire e partecipare in condizioni di trasparenza finanziaria e fiscale può permettersi senza rischi una politica sostenuta dal finanziamento privato.
Qui da noi in barba alla Carta e alla democrazia il finanziamento anziché garantire la partecipazione politica dei cittadini è stato piegato alla conservazione del potere da parte dei partiti. E d’altra parte è proprio la legge a prevedere che le quote di finanziamento siano assegnate a seconda dell’esito, avvantaggiandoli anche nelle successive competizioni, grazie a maggiori risorse finanziarie pubbliche e determinando prerequisiti di disparità per i competitori politici a cominciare dalla possibilità di far conoscere il proprio programma politico e dagli investimenti per la propaganda. Mediante il sistema di finanziamento pubblico, chi già gode di un vantaggio elettorale pregresso. Così le procedure di erogazione delle risorse pubbliche ai partiti non solo penalizza le piccole e le nuove formazioni politiche, ma perpetua quell’aberrazione secondo la quale solo le formazioni politiche tradizionali condizionano il voto – chè certo un magnate delle televisioni e dei media, esuberantemente e rigogliosamente candidato non è garanzia di libertà – e determinano la politica nazionale.
Si decisamente ci vorrebbe una diversificazione dei contributi perché una parte possa essere indirizzata alle spese elettorale mediante la trasmissione diretta alle organizzazioni di partito. Ma una parte invece dovrebbe essere davvero messa a disposizione della società civile, per la circolazione e diffusione delle opinioni e delle istanze, dal potenziamento dell’accesso alla rete all’informazione dovuta.
E siccome pare non esista una via virtuosa al potere è necessario ristabilire quel sistema di controllo che dopo Tangentopoli è stato smantellato. A cominciare dal basso. I CoReCO che controllavano le delibere delle giunte e dei consigli, largamente lottizzati, non hanno più offerto garanzie di indipendenza e si sono rivelati generatori di malaffare. Ma invece di identificare altri organismi efficaci, si è annientato il sistema. In nome dell’efficienza si sono aggirati i meccanismi della normativa sugli appalti favorendo la creazione di società miste pubblico- private con consigli d’amministrazione popolati da “prestati” in comodato dalla politica, sganciati da ogni forma di sorveglianza, fino alla distorsione più sfacciata: la privatizzazione dei controlli. E anche il controllo giudiziario penale è stato reso via via sempre meno stretto: molti reati che agivano da indicatori se non addirittura da spia accesa della corruzione, sono stati svuotati. L’abuso d’ufficio è diventato meno stringente, il falso in bilancio quasi totalmente depenalizzato, i reati fiscali ridotti a ipotesi marginali. La pomposa Autorità contro la corruzione è stata abolita, a dimostrare come in una allegoria che gli illeciti non solo possono restare impuniti, ma ricevere una forma di regolarizzazione, grazie a perdoni, condoni, scudi, clemenze, indulgenze e tolleranze.
Oggi, qui, sono stati feriti a morte con lo stato sociale, la dignità e sicurezza del lavoro, i diritti e i beni comuni. Una democrazia sospesa per ragioni d’emergenza non è più una democrazia. Una Carta manomessa e tradita ridiventa una dichiarazione d’intenti. Mai come adesso deve esserci uno scatto di orgoglio della cittadinanza per riprendersi la politica.