Innalzare l’aliquota sulle attività finanziarie, implementare le tasse ambientali, e rimodulare l’imposizione fiscale sui patrimoni: sono alcune delle proposte per cambiare una manovra che non rilancia la crescita e rischia di affossare l’Italia in una lunga depressione
La Legge delega di Stabilità 2014-2016 (nel seguito LS) predisposta dal governo Letta ed inviata alla Commissione europea e quindi al Parlamento italiano è volta al rispetto dei vincoli europei, previsti dal Patto di stabilità e crescita, mentre propone ben poche azioni affinché il nostro Paese possa intercettare nel 2014 la flebile ripresa in ambito europeo ed immettersi nel triennio 2014-2016 su un percorso di crescita. Come abbiamo avuto modo di argomentare qui, la LS è il risultato dei veti incrociati dei partiti che sostengono il governo e che lo portano a rinviare decisioni importanti o ad assumerne di sbagliate.
La stabilizzazione della depressione
L’impatto della LS appare risibile, se stiamo alle stesse cifre fornite dal governo. Confrontato con la Nota di aggiornamento del governo Letta (20 settembre 2013) che rivede le previsioni dell’ultimo Def (Documento di economia e finanza) del governo Monti (aprile 2013), si nota che la crescita stimata del Pil per il 2014 non muta (sempre 1%), mentre per il 2015 e 2016 si prevede una crescita dello 0,3% e 0,2% in più (2% verso 1,7% e 1,8%). La pressione fiscale mostra una diminuzione prevista dello 0,3% (dal 43,6%). Sul rapporto deficit/Pil invece si passa dal -2,3.% della Nota di aggiornamento al Def al -2,5% per il 2014 della Legge di stabilità (1) (contro il -1,8% del Def di Monti). Lo afferma quindi lo stesso governo: la LSstabilizza l’austerità e con essa la depressione.
La riduzione del cuneo fiscale a carico dei lavoratori e delle imprese era attesa come lo strumento cardine per rilanciare da un lato la domanda interna e dall’altro ridare un poco di competitività di prezzo alle imprese riducendone i costi di produzione. Ricordiamo che il cuneo è stimato per l’Italia pari al 47,6% contro una media europea del 40,2% ed una media paesi Oecd del 35,2% (fonte: Oecd, dati 2011) (2).
Sono state diffuse diverse stime circa l’impatto della riduzione del cuneo sulla busta paga di un lavoratore dipendente (3). Alcune sono state contestate; lo stesso Letta le ha definite fantasiose. Ma è il governo che nella presentazione della legge ha scritto: “Ad esempio, i lavoratori che percepiscono un reddito lordo annuo tra i 15.001 ed i 20.000 euro registreranno un sollievo fiscale pari ad un risparmio di 152 euro”, cifra che divisa per dodici fa 12,7 euro mensili. Per livelli di retribuzione inferiori o superiori a questi, il “sollievo” si riduce sino ad azzerarsi. Si dovrebbe contare anche il taglio di 500 milioni di euro alle detrazioni fiscali che interesserà tutti i dipendenti, non solo quelli agevolati dalla riduzione del cuneo che quindi avranno un “sollievo” inferiore ai 12,7 euro, ed anche chi dipendente non è. Per cui vi saranno anche lavoratori dipendenti e non che registreranno una perdita netta nel loro reddito disponibile. Tutti poi sono a rischio del fiscal drag, che come è noto per effetto dell’inflazione rischia di penalizzare coloro che si trovano con redditi imponibili al margine delle aliquote, a cui si possono aggiungere coloro che sono interessati dagli effetti marginali di riduzione del cuneo fiscale.
L’intervento sul cuneo avrà quindi effetti piuttosto contenuti sul reddito disponibile delle famiglie con lavoratori dipendenti, e quindi sulla domanda interna. A ciò si aggiunge che l’impatto deve essere valutato tenendo anche presente altri provvedimenti inclusi nella LS con effetti negativi sul reddito da lavoro disponibile, quali le riduzioni delle detrazioni e deduzioni fiscali sulle spese sostenute dal nucleo familiare e gli esiti fiscali delle novità sull’imposizione locale a seguito delle rimodulazioni delle tasse locali e degli interventi affatto da escludere sulle addizionali regionali e comunali. Inoltre, dobbiamo considerare gli effetti recessivi prodotti dagli interventi sul contenimento delle spese della pubblica amministrazione. Benché siano previsti interventi a sostegno degli investimenti in capitale (tra cui completamento o manutenzione rete ferroviaria, autostradale, ecc.), o il rinnovo dell’ecobonus fiscale, od ancora l’alleggerimento dei vincoli di spesa per gli enti locali virtuosi, il complesso della spesa si riduce con effetti evidentemente deflazionistici sulla componente pubblica della domanda interna. I dipendenti della pubblica amministrazione continueranno inoltre ad essere penalizzati dall’ennesimo rinnovo del blocco della contrattazione nel settore, e dalla cancellazione della indennità di vacanza contrattuale per il biennio 2013-2014, quindi le loro retribuzioni rimarranno ferme per il quinto anno consecutivo.
La domanda interna rischia quindi di venire assai poco stimolata dagli interventi previsti con la LS (4). Il governo Letta, in continuità piena con il governo Monti, rimane “fedele alla linea”: contenimento della spesa pubblica, regressività nella imposizione fiscale, azioni per la crescita scarse e poco efficaci.
Alcune proposte
Sarebbe essenziale allora che il Parlamento italiano intervenisse per modificare nel profondo la proposta governativa, sia nei saldi che nella composizione delle spese e delle risorse.
Qui proponiamo alcune direzioni su cui le forze politiche di centro-sinistra dovrebbero muoversi.
Anzitutto, la crisi è così grave che occorre un intervento forte del soggetto pubblico nel 2014 e non la diluizione nel triennio rinviando gli interventi agli ultimi due anni. Un rapporto deficit/Pil del 2,5% nel 2014 non è accettabile: occorre avvicinarsi al 3% e questo vuol dire mettere in campo altri 8 miliardi nelle spese (vedi l’articolo de lavoce.info). Si dirà che quel 2,5% serve perché è richiesto dal Patto di stabilità “rafforzato” che impone all’Italia di ridurre il debito su Pil al 60% in venti anni con manovre draconiane sul bilancio pubblico per realizzare 45 miliardi all’anno di riduzione del debito. Questo percorso va rivisto perché l’economia non è in grado di sostenerlo, comporterebbe 20 anni di continua depressione, per cui occorre rinegoziare in Europa i tempi di rientro dal debito.
Sul terreno delle risorse da reperire si propongono almeno sei aree su cui intervenire.
La manovra sul cuneo deve rappresentare una svolta per riequilibrare il peso della tassazione che frena oggi la produzione del reddito, il lavoro e l’impresa, e che invece privilegia le attività finanziarie, tassate con aliquote più che dimezzate rispetto al reddito d’impresa e da lavoro. Quindi occorre accompagnare la manovra sul cuneo con un intervento significativo di innalzamento immediato dal 20% al 22% e che porti poi questa aliquota nel triennio al ben più alto livello esistente in Europa (25-30%). Questo intervento consentirebbe di acquisire ulteriori risorse economiche per obiettivi di crescita, almeno 2,5 miliardi nel primo anno e tendente a 10 nel triennio. Gli interventi previsti in LS che costituiscono un ulteriore aiuto al sistema bancario ed assicurativo, detrazioni fiscali per oltre 1 miliardo di euro, non possono invece essere confermati, recuperando così altre risorse ai fini della crescita.
Al contempo occorre intervenire sulla implementazione delle tasse ambientali. L’Italia è fanalino di coda in ambito internazionale, ed in ambito europeo ha peggiorato la sua posizione relativa. L’introduzione di tassazioni su CO2 (carbon tax su settori non coperti da certificati di emissione), su emissioni regionali e locali, sui rifiuti in discarica, su risorse naturali (oneri di estrazione, escavazione, ecc.), potrebbero far recuperare risorse per almeno 5-10 miliardi di euro nel triennio (5).
Sui patrimoni, ulteriori risorse possono essere tratte da una rimodulazione della imposizione fiscale che invece di distribuire l’onere tra proprietari ed affittuari ed introdurre una Service Tax“pasticciata”, distingua con nettezza imposte sul patrimonio edilizio, da quelle necessarie alla erogazione dei servizi locali, queste sì distribuite sugli utenti. L’imposta patrimoniale sulle abitazioni deve prevedere franchigie per le prime case con valori catastali bassi, ed aliquote progressive per le altre abitazioni, e per le seconde e terze case, ed oltre. Queste risorse consentirebbero di alleggerire ulteriormente i vincoli imposti dal patto di stabilità locale per le amministrazioni virtuose.
Sulla riforma della pubblica amministrazione, non è possibile che si prosegua ai fini di mero risparmio con il metodo dei blocchi alla contrattazione, del turn-over e dei tagli lineari ai bilanci centrali e decentrati. Occorre certo ridurre costi ed inefficienze della Pa, e realizzare una efficace spending review di cui molto si discetta ma poco si pratica, che incida anche sulla normativa a fini di semplificazione. Occorre selezionare e tagliare le spese improduttive, ad iniziare dalle procedure che favoriscono una esternalizzazione dei servizi erogati che aggravano i costi senza accrescere la qualità dei servizi. L’efficienza della Pa deve essere una delle priorità della legge triennale, perché non è consentito che essa freni le iniziative di crescita, mentre le dovrebbe supportare. Ad essa deve concorrere anche un sistematico e convinto intervento di coordinamento, ammodernamento, semplificazione, dialogo e trasparenza nella Pa.
Una riduzione delle spese non può prescindere da interventi di contenimento radicale degli impegni per gli armamenti di difesa, in campo sia aeronautico che della marina, con l’azzeramento di impegni su cui il Parlamento italiano si è peraltro già espresso chiedendone una sospensione e revisione. Altre risorse, almeno 5 miliardi, possono così essere liberate nel triennio e destinate alla crescita.
Infine, invece delle limitazioni alle rivalutazioni all’inflazione delle pensioni sino a 3.000 euro lordi mensili, si dovrebbe intervenire con molto maggior vigore sulle pensioni molto elevate, che invece vengono colpite in modo irrisorio recuperando solo 61 milioni di euro nel triennio.
Sul terreno delle spese sono quattro le possibili aree da privilegiare.
La riduzione del cuneo fiscale deve essere più significativa già dal primo anno, 2014, per cui parte delle risorse devono essere anticipate rispetto a quanto previsto nella proposta attuale, almeno il doppio di quanto previsto ora. Occorre inoltre che la riduzione sia tale da esercitare il maggior effetto positivo sui consumi e sulla domanda interna, e quindi deve privilegiare la crescita delle retribuzioni delle fasce di reddito più basse, che hanno propensioni al consumo più elevate, concentrando su di esse le risorse disponibili.
Per favorire l’uscita dalla depressione e la crescita, vi sono politiche urgenti da adottare nel campo energetico, dei trasporti locali, della logistica, dell’assetto idrogeologico, della sicurezza ambientale. In questi ambiti occorrono piani strategici pluriennali da cui una LS triennale non può prescindere.
Al fine di difendere e consolidare il patrimonio manifatturiero e industriale italiano ed intervenire sulle crescenti divergenze tra aree territoriali, occorre puntare sulla innovazione e l’istruzione. In questo ambito la LS proposta è gravemente assente. Occorrono più risorse per scuola ed università, formazione professionale e per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e dell’impresa. Le imprese devono essere indotte ad intraprendere più investimenti in innovazione tecnologica, di prodotto e nella qualità e certificazione, nell’economia digitale e nell’economia verde (6), nell’organizzazione del lavoro orientata alle best practices lavorative. A tal fine un piano di sostegno economico alle imprese virtuose, traendo esempio anche dai molteplici modelli praticati all’estero, deve essere avviato dall’operatore pubblico coinvolgendo le amministrazioni decentrate, Regioni anzitutto.
Infine, per affrontare le crescenti diseguaglianze e la crescita delle situazioni di povertà od ai margini di questa, un intervento sul reddito minimo garantito deve essere avviato nel triennio, a fini sperimentali fin dal primo anno. Vi sono in Parlamento vari progetti di legge, presentati da PD, Sel, M5S, e varie campagne di associazioni che da anni si muovono in tale direzione (vedi qui l’ebook di Sbilanciamoci.info). In Europa, numerosi paesi hanno introdotto legislazioni di garanzia di reddito, muovendosi lungo le Raccomandazioni della Commissione Europea (7). Componenti del governo sembrano aver mostrato sensibilità rispetto a tale tema, annunciando iniziative in tal senso, che potrebbero essere incorporate nella LS.
Conclusioni
Il nostro paese ha perso 7 punti percentuali di reddito prodotto dal 2008, ed altri 2 circa ne perderà quest’anno, per un totale di 9 punti percentuali, come attesta la Banca d’Italia (8). La disoccupazione è pari a 6 milioni di persone, conteggiando cassaintegrati e anche chi è fuori dal mercato del lavoro perché scoraggiato e senza speranza di trovarlo. Aggiungendo il mondo del precariato si arriva a 9 milioni di persone. Questa è l’area della sofferenza (vedi qui). Una LS per la crescita è quindi improcrastinabile, ma ciò rischia di rimanere solo un miraggio, nell’attuale contesto politico.
di Paolo Pini - http://www.sbilanciamoci.info/
link articolo: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Finanziaria-alcune-proposte-per-cambiarla-20808