La cosa certa per il momento è che di fronte a un evidente mutamento della fruizione del cinema i festival non hanno ancora trovato un modo per adeguarsi. Si selezionano un mare di opere, molte più che in passato, si scova gente brava e si offrono sguardi inediti sul mondo – il lavoro di un direttore e dei selezionatori consiste proprio in questo – ma c’è da chiedersi fino a quando una macchina così grossa potrà permettersi un servizio così marginale (per la macchina dello shobiz, dico, mica per il valore del lavoro in sé). Perché se a gioire sono i cinefili e i critici, vale a dire quel migliaio di persone, sempre le stesse, che si incontrano alle proiezioni stampa, un po’ meno, forse, lo fanno gli sponsor, che fino a quando il prestigio di una manifestazione regge perché è antico, tutto bene, ma se per caso un giorno qualcuno aprisse gli occhi e si accorgesse che a Berlino, ad esempio, di divi e grandi nomi, Coen a parte, neanche l’ombra, allora le cose potrebbero cambiare.
Dopotutto lo sappiamo che il cinema d’autore non va d’accordo con i centri commerciali e che forse quello enorme di Potsdamer Platz dove si svolge la Berlinale sarebbe più coerente addobbarlo per Natale tutto l’anno. Se poi, magari, per convincere qualche investitore o direttore di rete si provasse a dire che quest’anno a Berlino ci saranno Béla Tarr, Werner Herzog, Ralph Fiennes e pure Albanese, tanto per citare i nomi più noti (che per molta gente non sono noti), difficilmente si riuscirebbe a essere seducenti. Ci saranno quelli bravi e ancora sconosciuti, come sempre e per fortuna: ma che la macchina non vada avanti con e per loro è persino scontato dirlo.
Il mondo del cinema sta svuotando le proprie vetrine, vale a dire i festival; ma i festival non hanno ancora trovato efficaci contromosse. La qualità di un lavoro fatto con passione e ricerca è l’unica risposta, ma nessuno al momento ha ancora capito come unire ricerca e appeal commerciale. La parabola controversa di Venezia, lo scorso anno su per bellezza e giù per impatto mediatico (e dunque monetario), è in fondo emblematica. Sarebbe facile dire che è meglio così, ma per il momento sarebbe più saggio sospirare un “finché dura”…