Nel libro Finestre di Manhattan, Antonio Munoz Molina, scrittore spagnolo classe 1956, racconta i suoi vagabondaggi nella Grande Mela e in particolare offre un punto di vista diverso della metropoli, descrivendola dall'alto (o dal basso) delle sue finestre. Angoli privilegiati dove osservare la vita che scorre, analizzate sia da fuori passeggiando e sbirciando vite altrui dalle grandi vetrate degli appartamenti nei grattacieli fronte Central Park, sia dall'interno, dalle finestre degli hotel o dai finestrini di un aereo in fase di atterraggio.
"Mi piacerebbe poter ricordare tutte le mie passeggiate e tutte le finestre da cui mi sono affacciato a Manhattan, enumerarle nelle notti d'insonnia, quando l'immaginazione errabonda mi riporta laggiù, conducendomi come l'animale docile che conosce il cammino e non ha bisogno di essere guidato dal padrone.[...] Ricordo di essermi avvicinato, paralizzato dalla vertigine, a uno dei finestroni grandi come pareti di vetro all'ultimo piano di una delle Torri Gemelle, che ora non ci sono più, e di aver visto stendersi ai miei piedi il bosco sconfinato delle architetture di Manhattan, sfumato verso nord oltre il preciso rettangolo di Central Park. Ricordo il finestrino ovale dell'aereo riempito per tutta la durata del mio primo viaggio di un cielo immobile di mezzogiorno, un cielo di invariabile azzurro che non impallidiva col passare delle ore e aveva tutta la limpida novità dell'avventura."
Il libro è una vera dichiarazione d'amore verso New York, la città descritta nelle sue pagine diventa magica e fonte di esperienze irripetibili. Scorrendo la lettura si delinea anche un affresco del newyorkese per eccellenza, schivo, arrivista, talvolta aggressivo se privato della sua privacy o delle sue certezze. Molina descrive lo stesso arrivo all'aeroporto di New York come di un occasione per analizzare il comportamento della sicurezza americana post 11 settembre 2001.
"Al controllo passaporti scopriamo di colpo l'autoritarismo amministrativo degli Stati Uniti, l'asprezza e le maniere forti dei funzionari dell'Ufficio immigrazione, che agli occhi di un europeo hanno una corporatura minacciosa, membra di una grandezza inusuata come quella che lo sorprenderà più tardi, quando vedrà le auto e i ponti."
"Mi spaventa la quantità di cose che potrei fare, di libri che attendono di essere letti, di concerti imperdibili annunciati dal giornale, di riviste patinate con bei caratteri fitti che mi porto a casa pur sapendo che non avrò mai il tempo di leggerle interamente, di notizie fornite dall'inesauribile enciclopedia quotidiana del New York Times, che la domenica diventa una montagna, una vera festa di carta stampata e odore d'inchiostro per l'appassionato di giornali. Bisogna sfruttare ogni giorno, ogni ora."
L'autore percorre percorsi certi e inusuali, alla ricerca di quella libreria, di quell'angolo di quartiere che lo renderà certo di aver scoperto una perla preziosa, rara e unica. Racconta di musei, di venditrici grasse con cappelli a cilindro a stelle e strisce, del vento freddissimo di dicembre che talvolta tira e paralizza le ossa e gli abitanti della città.
"Viaggiare serve soprattutto per imparare qualcosa sul paese che abbiamo lasciato."Antonio M. Molina, Finestre di Manhattan (2004)
Una frase che condivido in pieno e un libro che consiglio a tutti gli amanti della città che non dorme mai.
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