Durezza è forse la parola chiave attraverso cui interpretare Finestre sull’occidente di Raùl e Felipe H. Cava. Un’opera che sia nei contenuti sia nella forma si pone sin dall’inizio come una lettura ardua,
L’espressività espressionista della prima sezione arriva talvolta a sfiorare i limiti del grottesco, ricordando a tratti I mangiatori di patate di Van Gogh. Nelle grosse figure corpulente delle donne al mercato, nelle rigide pose e nei visi spesso deformati delle persone che l’autore ha potuto ritrarre nel suo diario giornaliero (quando, nel 1990, si trattenne un mese in Russia come inviato del giornale El Pais) si ritrovano infatti la stessa pesantezza del segno e fedeltà alla realtà popolare che compongono anche il quadro dell’artista olandese. Il filo conduttore è la cruda verità: la narrazione è ridotta ai minimi termini là dove, sotto ad ogni immagine, come per una fotografia, si riportano solamente luogo e data del soggetto disegnato,
È proprio sul piano della narrazione che si costruisce lo scarto più sostanziale tra la prima e la seconda sezione del volume. Là dove il racconto resta nella prima puramente accennato, nella seconda s’innesta invece nella struttura ritmica fissa di una pagina quasi sempre suddivisa in sei vignette. Saranno però gli inserti metanarrativi (che consentono ad Elettra Stamboulis di definire Finestre sull’occidente un “Decameron moscovita”) a spezzare ancora una volta il ritmo.
Nella cornice di una cena tra amici, i personaggi si alternano sulla scena, quasi fosse un teatro, narrando ciascuno di volta in volta una storia, chi di carattere storico, chi altamente simbolico; il lettore viene invitato ad immergersi in questi racconti grazie ad uno stile grafico che torna ad essere fortemente eclettico, sperimentale o meglio, seguendo le parole dell’autore stesso, “eterodosso poiché multiplo”. È quindi una ricerca incrociata, quella costruita dai Raùl e Cava, in cui si cercano di indagare le radici e l’identità di un popolo, ma anche le forme della rappresentazione grafica da un lato e quelle della narrazione dall’altro, incrociando i diversi piani del racconto con le infinite potenzialità figurative.
Il mestiere del raccontare è una pratica difficile che necessita di disciplina, richiede una dedizione costante e controllata. Nasce da un’urgenza interiore ed è fatta di misura e consapevolezza affinché si sviluppi e diventi quella voce in grado di dare corpo e anima ad una storia, contro il pericolo di diventare deriva personale. Questo compito si sono assunti i due autori, condensando in questa profonda ed intensa graphic novel il frutto della loro esperienza.
L’anno è il 1990, siamo a cavallo dello scioglimento dell’Unione Sovietica, avvenuto ufficialmente l’8 dicembre 1991 con l’accordo di Belovez. La quotidianità rappresentata è quella di un paese in ginocchio giunto al tramonto di una parabola chiamata Comunismo: patronimico di un itinerario storico non risolto che lascia a chi viene il compito di trovare la forma necessaria ad esprimere il proprio vissuto. Negli occhi di quelle persone gli autori vi leggono le stesse sofferenze di parenti e amici, vittime che hanno sofferto le pene della guerra civile spagnola.
Finestre sull’Occidente ci parla di questo, dello sforzo di parlare di sé, di riappropriarsi di una storia che ha bisogno di respiro, dell’azione taumaturgica del racconto. Felipe parla di un tempo della creazione fratello del tempo della narrazione, i quali si accompagnano in ogni difficile percorso di risalita. La storia russa sembra un ossimoro invischiato nelle maglie del tempo, è fatta d’inclusione ed esclusione: tra la coercizione ad esistere in un territorio comune, che è il più vasto del pianeta, per una serie di paesi finiti sotto l’egemonia armata del regime, e l’obbligo a mantenersi estranei ad un sistema, quello capitalista, che nel frattempo è avanzato nella restante parte di modo sviluppato,
Quello che viene tirato in causa non è solo l’aspetto socio-economico e politico, il confronto avviene anche sul piano culturale. Viene messo in gioco lo spirito di una nazione che, come scrive Viktor Pelevin, si ritrova in vetrina: ottimo modello di fattura sovietica che nessuno, però, vuole più. Nel vuoto di questa rottura si inserisce l’opera di figure quali Venedikt Erofeev, Ljudmila Ulikaja, Arkady Babchenko ma anche Igort, Raul Huesca e Felipe Cava. Uno sguardo gettato su un popolo che è nomade nella propria storia, in “un luogo che in realtà non è che tempo”, il tempo che si accompagna alla narrazione e che ritrova nel proprio senso dell’umorismo e nella propria malinconia, affrontati nell’opera, gli strumenti per quest’ arduo compito.
Quale frutto di una profonda, intensa e, soprattutto, vissuta riflessione, questa graphic novel porta il lettore ad interrogarsi a sua volta; offre spunti che gli consentono di calarsi in una cultura in rapido cambiamento e che, molto spesso, viene creduta più lontana di quanto non sia.
Leggerla è quindi tanto un consiglio da lettori a lettore, quanto forse un imperativo storico, che vorrebbe spingere ogni cultura a distinguersi, ma al contempo a riconoscersi nel volto delle altre.
Abbiamo parlato di:
Finestre sull’occidente
Felipe H. Cava e Raul
GIUDA edizioni, 2012
76 pagine, brossurato, bianco e nero – 15,00€
ISBN: 978-88-97980-08-7
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