I.(wtf???)
è un film completamente anarchico. non risponde a niente e nessuno, non subisce condizionamenti di alcunché, né di ordine narrativo, né logico, è votato sic et simpliciter all’appagamento sensoriale, o- per meglio dire- estetico. qui l’occhio trova decisamente la sua parte: la co-protagonista (dopo i due fantasmi) è la natura, quella incontrollabile, animata, così viva e affascinante. i paesaggi fotografati rendono appieno un idea di tutt’uno col mondo (per traslazione, si potrebbe dire, anche con l’universo) raramente così potente su pellicola. per sintetizzare efficacemente, potremmo addirittura affermare, che la trama del film è la Natura.
II. oracoli e profezie
ma c’è anche un altro, rivelativo particolare che salta subito all’occhio: l’auto-ironia. l’autore non si prende minimamente sul serio. si tratta di un film no-budget, girato unicamente perché fosse gradevole alla vista: il regista ha fatto un collage di scenette formalmente, e kantianamente, sublimi, e poi ha aggiunto i dialoghi, liquidando in un attimo la questione della preponderanza dell’Idea sulla forma, palesemente ribaltata a favore di quest’ultima.
III. corpo estraneo
decidendo di operare così, è venuta fuori un’opera che, non solo è fuori da qualsiasi schema, ma che si arricchisce di spunti e motivi artistici, con garbo e delicatezza: il surrealismo innanzitutto, un po’ il presupposto storico su cui è basato l’intero film; il teatro dell’assurdo, le movenze seducenti e liberissime del Living Theatre; l’inserimento puntualissimo e mai invadente dei pezzi musicati, centellinati col contagocce eppure capacissimi di dare il ritmo all’intero atto. il fatto stesso che i protagonisti non sono, in realtà, due fantasmi ma due attori con dei lenzuoli bucati sopra, che il loro cavallo venga sostituito in varie scene con un pupazzo meccanico, che i maestosi paesaggi da tregenda (incredilbilmente inquietanti) vengano riprodotti su tela a mo’ di scenografia teatrale (o come in un museo?) rende evidente la totale libertà d’azione e creazione degli autori e dei tecnici.
IV.conclusioni
ché poi, a volersi soffermare, si può trovare una base concettuale, o simbolica, o anche una riflessione di fondo, magari sulla vita come un grande viaggio- una odissea o una telemachia, forse- sulla sua caducità e sull’effimero segno che lascia il nostro passaggio. perché, alla fine, (come i due protagonisti) siamo solo ombre. la riflessione si potrebbe fare, ma sarebbe del tutto inutile e, anzi, superflua: secondo me, non è questo che Caballero voleva ispirare, lungi da lui. ci regala scene impagabili in cui sono protagoniste, tutte contemporaneamente e tutte armonicamente, la Natura, il Sublime e l’Umano: ci va bene così.
titolo originale: Finisterraeun film di Sergio Caballero2010