Fino a diventare uomini

Da Roversi2011
Lo sente.
Lo sente che il suo sguardo non sarà più lo stesso d’ora in avanti.
Nemmeno le future fotografie potranno nascondere quel nuovo sguardo che Claudio si sente dipinto sulle pupille.
Il sole è caldo, come può esserlo in Agosto nella bassa bresciana, un forno organico di terra e asfalto, un spazio che ti segna fin da piccolo, ti abitua al sudore che scende dalla fronte, giù negli occhi, che bruciano e li devi continuamente asciugare; non ti abitua però a ciò che è successo poco fa a Claudio, qualcosa che non capita spesso ad un ragazzo di quattordici anni. Cammina di ritorno dal fiume, zoppicando e sopportando un tremore leggero ma costante che gli scuote i nervi non ancora maturi, non ancora pronti a un’interruzione di serenità.
Pensa a suo padre, solo a suo padre e al calore che gli stamperà sulla guancia con una sberla delle sue, lui che ha un’apertura alare da uccello mitologico, di quelli visti sull’enciclopedia regalata da sua madre qualche anno prima; sberla che farà partire appena il ragazzo varcherà la soglia di casa e solo dopo, forse, vorrà sentire ragioni.
Ma Claudio una ragione ce l’ha, eccome. È un segreto così grande ed eccitante che lo fa sentire adulto e che ridimensiona la terra sotto i piedi, il paese dove vive, il mondo intero; così eccitante da rendere più attraente la concezione del tempo, così pauroso da far girare la testa e da tagliare il fiato; così speciale che, non tenerselo dentro, quasi svuota la sensazione di potenza che procura.
La strada verso casa sembra infinita ma gli dà la possibilità di ripensare a ciò che ha visto e a che versione dei fatti raccontare.
Nonostante il cuore batta come un tamburo riesce a prendere in considerazione l’idea di non raccontare niente a nessuno, di seppellire ogni dettaglio che gli passa davanti agli occhi e di prendersi una punizione, gratuita. Il mio grande segreto, si ripete, al ritmo del passo claudicante.
Pensa che se suo padre lo vuole punire senza prima lasciarlo parlare, allora non merita di saperlo. Essere uscito di casa infrangendo la punizione dovrebbe passare in secondo piano. Sua madre però….scaccia il pensiero….può mantenere il segreto, ora, con il mondo sotto i piedi così piccolo e nelle sue mani, ce la può fare.
L’orizzonte cola aria rovente, ancor più di quella che sta respirando in questo momento, l’estate è spietata come sempre qui.
Pensa Claudio, pensa. Questo che hai visto, li batte tutti. Batte la prima sigaretta nel garage del padre di Giulio e batte anche la prima sega, in montagna, lontano dal sentiero battuto da papà, mamma e gli zii; batte persino la prima visione della fica, quella della sorella di Andrea, ventenne, carina e furba; nel sottoscala di casa, per qualche euro rubato dal portamonete di mamma, vista di sfuggita perché non ancora svelto a cogliere l’occasione di una gonna alzata e riabbassata in fretta, per succhiare altri euro.
Se lo racconta a tutti i suoi amici li straccia tutti, li lascia lì a rodersi il culo, a sclerare; gli fa scoppiare i piedi nelle scarpe, come dice suo padre a volte e non sa del tutto cosa intenda ma suona tanto bene.
Infrangerebbe il segreto anche solo per vedere la faccia che farebbe Athos.
Con questa amico mio, ti smerdo fino al collo. Non la batti più, per tutta la tua stupida vita.
Sta abbandonando la zona dell’argine del Mella e cammina sul sentiero che lo riporta in paese e continua a pensare a quello che ha visto sul fiume, dove svolta dietro una serie di alberi bassi che non sa come si chiamino.
Dopo la curva c’è un isolotto di sabbia dura in mezzo al letto del Mella.
L’ha visto subito, ancor prima di saltare sul pezzo di terra separato dall’argine che quel corpo sdraiato pancia all’aria non sta prendendo il sole.
Si avvicina, si sfrega gli occhi per asciugare il sudore colato dalla fronte, usando prima le mani, poi la maglietta sfilata dalle braghe. Si guarda intorno, torna a guardare il corpo immobile, sfiorato da una leggerissima brezza d’aria che da queste parti la si trova solo sul fiume, un pò odorante di letame, quel puzzo caldo e penetrante che intasa le narici e senza pensare gli molla un calcetto alla coscia sinistra. Niente. Immobile. Nel petto, le detonazioni crescono sempre più, il respiro poi si ferma per alcuni secondi quando i suoi occhi incrociano quelli spenti del signor Moretti. Ripartono le detonazioni. La gola si riempie di saliva quasi solida.
Il macellaio. Un colorito pallido, gli occhi quasi completamente aperti rivolti al cielo, soffocante, e un piccolo buco rosso nella fronte; un rivolo di sangue secco sulla tempia, un corpo floscio, in mutande sporche di fango, come le mani.
Altri due calci sul fianco della pancia, poi un altro, non reagisce più, così grosso, così molle e così insignificante.
Lo chiama.
Signor Moretti?
Più niente.
Il paese è sempre più vicino, la realtà sta per investirlo in piena faccia alzando ulteriormente la temperatura della pelle della faccia , che è già accaldata, quasi febbricitante.
Pensa che se non racconterà nulla, quella sensazione di grandezza che prova resterà in piedi, potente e sa che deve solo evitare gli occhi dolci di sua madre almeno per qualche ora per poter sperare di mantenere per sé l’intima confidenza. Poi è pronto per la punizione di suo padre. (Un racconto di qualche tempo fa, pubblicato sulla pagina FB di ‘Leggo ciò che voglio’)

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