Firenze lo sai, non è servita a cambiarla...
Così cantava Ivan Graziani, un artista prematuramente scomparso che ancora non riscuote fra il pubblico dei posteri il successo che meriterebbe. La citazione è calzante perché recentemente lo storico-medievista Franco Cardini ha proposto – venendo immediatamente avallato dal sindaco Renzi – di riportare i Bronzi di Riace a Firenze, nel luogo che aveva ospitato il loro primo restauro, subito dopo esser stati strappati all'oblio dello Ionio. L'incipit si presta agevolmente a sottolineare una storia che non cambia: ciclicamente qualcuno si ridesta e propone che i Guerrieri siano trasferiti da Reggio Calabria, da Sgarbi a Stella, sino a Cardini, studioso preparato quest'ultimo, che ben dovrebbe conoscere l'assoluta mancanza di legami storico-ideologici fra Firenze, culla dell'Umanesimo, e i Bronzi, emblema della grecità classica che sulle rive dello Stretto si trovano già intrecciati indissolubilmente con il locale patrimonio di radici e memorie, specie se – sulla base della tesi elaborata dall'archeologo Daniele Castrizio – essi sono opera di uno scultore reggino del V sec. a.C., Pitagora. Certo, l'unicità dei capolavori e le immense prospettive di guadagno in termini di flussi turistici che deriverebbero da una valorizzazione metodica dei reperti alletterebbero chiunque. Il punto è proprio questo. Fino ad oggi i Reggini hanno fatto davvero troppo poco per invocare il proprio legame coi Guerrieri, hanno fatto davvero troppo poco per meritarseli, e le responsabilità di ciò non ricadono soltanto sugli enti preposti o sui rappresentanti politici. Non si può pensare di insorgere sempre e solo quando si levano le voci di spostamento. Occorre invece conoscere e documentarsi nel corso delle lunghe pause che intercorrono fra una proposta di tournée e l'altra. Persino nel quarantesimo anniversario (1972-2012) dal ritrovamento delle statue, se non fosse stato per l'iniziativa di alcune associazioni culturali gravitanti nel territorio, il pubblico non avrebbe avuto la possibilità di documentarsi sulle ultime ricerche in proposito. Insomma, allo stato attuale delle cose, i Bronzi non costituiscono il simbolo dell'identità reggina semplicemente perché sono mancate, negli ultimi quattro decenni, delle opportune strategie di divulgazione finalizzate alla loro conoscenza e alla loro comprensione. Chiedete a un fiorentino chi ha scolpito, e in quale epoca, il Perseo, poi domandate la stessa cosa a un reggino; la risposta sarà indicativa per capire la cronica inconsapevolezza che condanna da centocinquanta anni l'Area dello Stretto a giocare un ruolo di evidente e voluta subalternità rispetto altrove. A Reggio, purtroppo, l'ignoranza dei molti ci impedisce di esportare il lato migliore di questa terra. Se i nostri figli continueranno a disconoscere l'esistenza dei Pitagora, degli Anassila, dei Barlaam e dei Leonzio Pilato, probabilmente non saremo mai in grado di arginare i sistematici tentativi di spoliazione del nostro patrimonio culturale, se non costruendo una cittadinanza attiva, coerente e coscienziosa, forte della propria identità e dell'esempio dei propri Padri, appreso per obbligo scolastico. I politici si inchineranno ai dettami dei politai, perché esclusivamente in questo consiste il loro servizio. Ma – approfittiamo ancora una volta della pazienza di Ivan Graziani – di tempo ce n'è/ in questa città/ fottuti di malinconia e di Lei.
Natale Zappalà