Il recente cinema apocalittico e post-apocalittico americano ci ha abituato ad opere fracassone e spettacolari (The day after tomorrow), con creature mostruose e imbufalite (Io sono Leggenda) o umani dall’anima mostruosa (The Road), per di più di ambientazione urbana (Vanishing on 7th Street).
First winter dell’esordiente Benjamin Dickinson è una piacevole, necessaria e ben accetta variazione sul tema, una pecora nera che ci concede una bella boccata d’aria fresca (o forse dovremmo dire gelata vista la location!).
Presentato al Tribeca Film Festival di New York e poi alla prima edizione del Tribeca Firenze, racconta di un gruppo di hipsters che, sopraggiunto un improvviso blackout di proporzione epiche, rimane isolato in una casa di campagna, mentre fuori imperversa un inverno con temperature rigidissime. All’inizio è tutto sesso, droga e cantatine melodiche perfette per trip mentali da fine del mondo, ma poi le scorte alimentari iniziano a ridursi così come il nervosismo a crescere…
First winter è una sorprendente opera prima dove la probabile fine del mondo ha di americano (nel significato “classico” di americanata) solo un grosso nuvolone all’orizzonte da commentare con stupore e poche parole. E’ un’opera dove domina il silenzio, il bianco, l’attesa, in un’ambientazione che ricorda molto da vicino quella di Essential Killing di Jerzy Skolimowski, che, a suo modo, trattava anch’esso il tema della sopravvivenza. Un mondo ovattato, gelido, solo, dove la regia di Dickinson sposa le sensazioni provate dal manipolo di scalcinati personaggi dediti ai fumi della cannabis e al presunto relax derivante dallo yoga.
Ulteriore merito della regia è la sua evoluzione. Nella prima parte dominano primi e primissimi piani, come a sottolineare l’egocentrismo e l’autosufficienza di ciascun personaggio, che raramente alza lo sguardo per incrociare quello dell’amico. Poi i piani si ampliano, l’orizzonte si allarga, si esce dalle quattro mura domestiche per entrare in una natura boschiva secca, candida, portatrice di pace e ostilità. Dopo un tragico evento frutto di una notte brava e ingorda con abbuffata fino all’ultimo respiro, la crisi entra in ciascuno di loro e li rigenera. Il bene comune si compirà così in nome di un “pizzico” di disciplina che riporta nuovamente alla civiltà e alla (ri)conquista della sopravvivenza.
Il film d’esordio di Benjamin Dickinson è quindi un survival movie dal sapore minimalista e metafisico, capace di suscitare pacate e allucinate emozioni oltre ad un fiero senso di novità, buon frutto cinematografico low budget che getta una sana vena europea e indie sul cinema americano.
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