Aumenti delle tasse per il fisco americano ma per il momento niente tagli alla spesa. Scongiurato il “baratro fiscale”, ma rating a rischio?
Un’intesa è stata raggiunta, sebbene votata da appena un terzo dei repubblicani, comunque sufficiente a far passare il provvedimento voluto dalla Casa Bianca. La conseguenza più vistosa per il fisco americano sarà l’aumento dell’aliquota fiscale dal 35% al 39,6% sui redditi individuali sopra i
400 mila dollari annui (450 mila dollari per le famiglie). Sempre per i percettori di redditi sopra i 450 mila dollari è previsto l’aumento dal 15% al 20% dell’imposta sui dividendi e sui capital gains.
Stangata anche sulle successioni. Per le eredità sopra i 5 milioni di dollari si pagherà il 40% di tasse, contro l’attuale 35%. Inoltre, verrà posto fine allo sconto del 2% sul Social Security, che Obama aveva voluto nel 2010 per i primi 110 mila dollari di reddito. Su di essi tornerà l’aliquota del 6,2% dall’attuale 4,2%.
In definitiva, per il fisco americano le tasse aumenteranno per il 77% dei cittadini, anche se sono stati prorogati gli sconti fiscali per i redditi medi e si è stabilizzata la “minimum tax”.
Per il momento, tuttavia, non ci sono tagli alle spese, come richiesti dai repubblicani. Le parti si sono accordate per trovare una soluzione entro la fine di febbraio su tagli di 110 miliardi di dollari, contro i 330 miliardi proposti dalla destra americana.
Gli analisti parlano di 4 mila miliardi di debito in più che la Casa Bianca dovrà farsi autorizzare, in seguito all’accordo contro il Fiscal Cliff, tra aumento tendenziale dell’indebitamento federale e nuove misure di spesa, come il credito d’imposta verso le imprese che fanno ricerca e innovazione o gli investimenti in infrastrutture. Fatto sta che proprio il 31 dicembre scorso è stato superato il tetto dei 16.400 miliardi di dollari, che il Congresso aveva autorizzato a inizio agosto 2011, con il Tesoro costretto ad operare temporaneamente in regime speciale.
Tuttavia, senza un’intesa sull’innalzamento del tetto del debito, gli USA precipiterebbero verso un nuovo rischio, quello del default tecnico. E stavolta i repubblicani non sembrano disposti a cedere facilmente, in assenza di un piano credibile di austerità.
In ogni caso, con una crescita prevista sotto il 2% per il 2013 e un debito federale già oltre il 100% del Pil, gli USA potrebbero subire un secondo declassamento dopo quello ad opera di Standard & Poor’s del 6 agosto 2011. Insomma, le borse festeggiano la momentanea vittoria del fisco americano, ma c’è più di una ragione per spingere gli investitori alla cautela.