Fisica outdoor

Creato il 12 novembre 2013 da Media Inaf

Proponiamo un brano dell'ultimo libro di Emiliano Ricci, fisico e giornalista, tratto da 'La fisica fuori casa' edito da Giunti. Un modo per darvi l'opportunità di giudicare direttamente e scegliere se proseguire nella lettura. Con questo brano inizia anche la collaborazione del suo autore con Media INAF

di Emiliano Ricci 12/11/2013 18:22

È noto che il nostro pianeta ha subito, nel corso della sua lunga storia, collisioni con altri corpi, molti di piccole dimensioni, altri notevoli. Ancora oggi, nonostante i dintorni dell’orbita terrestre siano “puliti”, l’atmosfera della Terra è quotidianamente bombardata da milioni di frammenti – per un totale di centinaia di tonnellate di massa – con le dimensioni tipiche del granello di sabbia (ma alcuni possono andare da pochi millimetri a qualche centimetro) che danno origine al fenomeno delle meteore, più noto con il nome di “stelle cadenti”.

L’impatto più catastrofico è stato senz’altro quello che ha dato origine alla Luna che, secondo la teoria più accreditata, è una vera e propria “costola” della Terra: circa 50 milioni di anni dopo la formazione del Sistema Solare (avvenuta attorno a 4,6 miliardi di anni fa), un asteroide delle dimensioni di Marte impattò il nostro pianeta, ancora caldo, immettendo così in orbita una quantità di materiale sufficiente a dare origine alla Luna.

Molto più di recente, anche se in tempi remoti, l’impatto con un grosso asteroide causò – o comunque innescò – la grande estinzione del Permiano (dal nome del periodo geologico al quale dette fine), circa 250 milioni di anni fa. Sicuramente meno nota dell’estinzione dei dinosauri (avvenuta “soltanto” 65 milioni di anni fa, anch’essa probabilmente innescata da un impatto cosmico), ma di sicuro più disastrosa, l’estinzione del Permiano vide la scomparsa di oltre il 90 per cento delle forme di vita marine e di oltre il 70 per cento di quelle terrestri. A quell’epoca i continenti della Terra non erano ancora separati e le terre emerse erano unite in un unico grande supercontinente, la Pangea. A causa dei grandi movimenti geologici successivi è praticamente impossibile trovare le tracce dell’immane cratere che l’impatto dell’asteroide, dal diametro stimato di una decina di chilometri, lasciò sulla crosta terrestre. Ma molti crateri da impatto sono ancora ben visibili, come per esempio il Meteor Crater, che si trova nel deserto dell’Arizona, a circa 50 km da Flagstaff. È uno dei crateri da impatto meglio conservati: circondato da una “corona” di materiale sollevato dall’impatto di 45 metri di altezza, ha un diametro di 1200 metri ed è profondo 170 metri. A generarlo, circa 50.000 anni fa, durante il Pleistocene, fu un meteorite metallico (nickel-ferro) di 50 metri di diametro, che doveva viaggiare a una velocità di diversi chilometri al secondo. L’impatto produsse un’esplosione con un’energia equivalente ad almeno 2,5 milioni di tonnellate di tritolo, pari a circa 150 volte l’energia delle bombe atomiche impiegate a Hiroshima e Nagasaki.

Emiliano Ricci

Al giorno d’oggi, il rischio che la Terra possa essere nuovamente bersaglio di un asteroide non è altissimo, ma non è nemmeno nullo. Per questo motivo esistono molti progetti dedicati alla ricerca e al controllo delle orbite di quegli asteroidi le cui orbite sono pericolosamente vicine a quella del nostro pianeta. Di questi, collettivamente chiamati NEO (dall’inglese Near-Earth Object; o anche NEA, dove la A sta per Asteroid), se ne conoscono già alcune migliaia. Sulla base delle dimensioni (almeno 150 metri di diametro) e dei parametri orbitali (minima distanza dall’orbita terrestre sotto 7,5 milioni di chilometri, 20 volte la distanza media Terra-Luna), già alcune centinaia sono classificati come PHO (Potentially Hazardous Object, oggetto potenzialmente pericoloso): è infatti sufficiente una piccola perturbazione gravitazionale perché uno di questi oggetti diventi un proiettile scagliato contro la Terra.

Nel corso degli anni la Terra ha subito centinaia di incontri ravvicinati con piccoli asteroidi, l’ultimo dei quali è avvenuto il 15 febbraio 2013, quando 2012 DA14, un asteroide di 30 metri di diametro e una massa stimata di 40.000 tonnellate, è passato ad appena 27.700 km dalla Terra, molto meno di 1/10 della distanza Terra-Luna. A oggi, quello di 2012 DA14 è l’incontro più ravvicinato di un asteroide di queste dimensioni con il nostro pianeta.

La scheda del libri

Fonte: Media INAF | Scritto da Emiliano Ricci



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