In un celebre passo di una lettera a Max Born, Einstein scrisse: «Tu ritieni che Dio giochi a dadi col mondo, io credo invece che tutto obbedisca a una legge, in un mondo di realtà obiettiva che cerco di cogliere per via furiosamente speculativa [ ... ] Nemmeno il grande successo iniziale della teoria dei quanti riesce a convincermi che alla base di tutto vi sia la casualità, anche se so bene che i colleghi più giovani considerano questo atteggiamento come un effetto di sclerosi».’ Erwin Schrodinger la pensava in modo simile: «Se avessi saputo che la mia equazione d’onda sarebbe stata usata in questo modo, avrei bruciato l’articolo prima di pubblicarlo [...] Non mi piace e mi pento di averci avuto a che fare». Cosa turbava questi eminenti personaggi, tanto da spingerli a rinnegare la loro bella creazione? Entriamo un po’ nel dettaglio di queste lamentazioni, nella protesta di Einstein contro un Dio che «gioca a dadi». Il punto di svolta della moderna teoria dei quanti risale al 1925, e precisamente alla vacanza solitaria che il giovane fisico tedesco Werner Heisenberg trascorse a Helgoland, un’isoletta nel Mare del Nord dove si era ritirato per trovare sollievo dalla febbre da fieno. Lì ebbe un’idea rivoluzionaria.
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La fisica quantistica è considerata una sorta di gioco molto complesso per menti eccentriche. Un gioco che non può avere nulla ha a che fare con la poesia. Eppure è un peccato, perché è una scienza innanzi tutto “bella”, almeno quanto la poesia… E per capirla non occorre conoscere la matematica. Soprattutto se a raccontarcela sono due bravissimi divulgatori come Leon Lederman e Christopher Hill.
Leon M. Lederman, Christopher T. Hill, Fisica quantistica per poeti, traduzione di Luigi Civalleri, Saggi. Scienze, Bollati Boringhieri, 2013.