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Creato il 20 luglio 2011 da Nefarkafka666

Fino a venti anni fa per entrare a lavorare in fabbrica bastava la terza media. Sto parlando di venti anni fa. In pratica l’altro ieri: Berlusconi era solo il presidente del Milan, Bennato e la Nannini attizzavano il tifo calcistico di una nazione che di lì a poco avrebbe cominciato la sua corsa verso la devastazione sociale ed io nel mio piccolo mi godevo le sacrosante vacanze estive leggendo Wittgenstein. In molti ricorderanno la lambada a cui va la colpa di aver drammaticamente spianato la strada all’invasione dei balli latino americani. Insomma, erano bei tempi: le pensioni erano una sicurezza per tutti, con un solo stipendio si campava ancora e la televisione ed i tronisti non avevano ancora fatto scempio nelle menti di giovani che ancora sognavano di fare il medico, l’ingegnere e lavori con una funzione sociale.

Sto parlando di vent’anni fa: avere trentun anni e la terza media non significava necessariamente essere fuori dal mercato del lavoro. Anzi. In certi ambienti una bassa istruzione era un titolo preferenziale. Gli industriali preferivano avere a che fare con gente ignorante che non era perfettamente consapevole dei propri diritti e per la quale uno stipendio fisso significava contrarre un debito di fedeltà assoluta con il datore di lavoro. Un giovane emiliano (o calabrese, o molisano) in possesso del solo titolo di studio della scuola dell’obbligo non si sarebbe mai sognato di farsi venire grilli per la testa e di mettersi a fare il contestatore. Anche i più sindacalizzati si riconoscevano nel proprio ruolo lavorativo e avrebbero rivendicato i propri diritti senza mai essere facinorosi e senza mai mettere in discussione l’azienda.

E le lotte sindacali erano contestualizzate e concrete e all’esame degli anni si sono rivelate sensate e proficue per tutti.

Tutti rispettavano il lavoro e chi lavorava. I capitani d’azienda facevano il loro mestiere, senz’altro riempiendosi le tasche, ma gli operai vedevano riconosciuto il loro ruolo. Da tutti.

Erano altri tempi. Era un’altra Italia? No. Era un altro pianeta.

Oggi le cose sono profondamente e radicalmente cambiate. I capitani d’azienda sono interessati più alla finanza che alla produzione e anziché spingere nell’innovazione e nella ricerca premono verso la riduzione dei costi, magari delocalizzando ed esternalizzando servizi ed interi settori. Gente come Agnelli non si sarebbe mai sognata di costruire macchine in Lettonia e di fregiarle con il titolo di prodotto italiano. Soprattutto considerando i miliardi di aiuti avuti dallo stato. Erano dei filibustieri rotti a tutte le intemperie: ma avevano dignità da vendere e forse vedevano i loro dipendenti come esseri umani a cui destinare un minimo di rispetto e considerazione. E di contro, con ogni probabilità, l’ultimo degli operai non avrebbe definito come farabutti l’Avvocato e la sua famiglia.

Erano altri tempi. Erano alti tempi.

Oggi le fabbriche e le aziende attuano strategie da bassa e sudicia macelleria sociale.

Con la contrazione della richiesta in qualsiasi campo anche per individui estremamente scolarizzati, formati e preparati è diventato impossibile accedere ai posti di lavoro per i quali si è affrontato un percorso universitario di svariati anni. A meno che, come da inveterato ed italico costume, non si possa contare su amicizie e parentele influenti.

Gli ingegneri passeggiano mestamente per le vie di periferia.

Gli avvocati leggono i giornali di annunci nel bar sotto casa.

Gli architetti costernati chiedono la paghetta a mammà.

Non fanno eccezione tutte le nuove professioni legate al web che hanno generato chimeriche attese in giovani alternativi che anelavano di diventare guru della comunicazione globale.

Le vacche non sono mai state così grasse per le aziende. Lasciate stare quello che leggerete sulla carta stampata e non date retta alle geremiadi degli industriali. Per loro, per i consigli di amministrazione solo giovenche dai fianchi opimi e dividendi. E la possibilità di poter contare su una manodopera a cui possono chiedere tutto. Nelle fabbriche e nelle catene di montaggio cercano di entrare tutti quei laureati che non riuscendo a trovare collocazione nei campi di competenza decidono di sottodimensionarsi in attesa di tempi migliori.

Ingegneri biometrici che vogliono inchiavardare sporelli.

Architetti d’interni che vogliono cablare fili.

Webmaster che vogliono profilare fogli d’alluminio.

Sono ricattabili e disperati. Troppo cagasotto ed imbecilli per rinunciare alle pallide certezze ed andare via dall’Italia quando era tempo. Sanno che l’unica cosa che li separa dall’elemosina in mezzo alla strada è la pensione dei loro padri. Fino a che saranno vivi.

Per poco più di mille euro e con la disponibilità a rivedere al ribasso i propri contratti senza fiatare. Tra gli sbadigli dei sindacati.

Prima gli industriali potevano vantarsi al circolo nautico di poter contare su gente sgrezzata con l’accetta pronta ad essere plasmata. Menti vergini e non corrotte da quel grande sbaglio che è l’educazione.

Ubbidienza e sottomissione in cambio di un minimo di benessere.

Oggi gli industriali possono vantarsi al circolo nautico di poter contare su giovani brillanti, su laureati con 110 e lode. Anime spaventate e sconvolte dal terrore della povertà.

Ubbidienza e sottomissione in cambio della sopravvivenza.


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