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L’idea che risalta subito alle orecchie dell’ascoltatore è quella di coniugare ciò che sembra apertamente incompatibile: il grindcore tecnico di scuola Dying Fetus (con una forte influenza anche di scuola Suffocation) con le sinfonie orchestrali tipiche della band di Oslo. Il risultato è di quelli capace di far saltare sulla sedia l’ascoltatore, avvolto da atmosfere piuttosto ossessive, incentrate quasi sempre su blast beat e velocità impressionante (ottimo lavoro del batterista Francesco Paoli), per quanto questo – alla lunga – rischi un po’ di stancare il timpano del metallaro medio, già provato da anni di lunghe, piacevolissime ed inconfessabili torture. Notevole, oltre che molto suggestiva, la solennità al pianoforte della conclusiva “Agony“, oltre che la furia più puramente “alla Dimmu Borgir” dell’opener “The hypocrisy“: non mancano reminiscenze dei lavori sinfonici dei grandissimi Haggard, tanto per citare un’altra band che credo sia stata decisamente di riferimento. Insomma, “Agony” è un eccellente disco principalmente perchè si distacca dagli stereotipi old school e mostra un’autentica evoluzione di uno dei generi più “tradizionalisti” che possano esistere. I brani – otto in tutto, più intro ed outro – possiedono una durata decisamente superiore alla media (circa 5 minuti), e l’accostamento musicale death/grind + sinfonico – credo quasi inconcepibile solo fino a qualche anno fa – mostra un lavoro concettuale, compositivo e visuale (basta vedere i video) decisamente impeccabile, senza un vero difetto che non sia, appunto, l’eccessiva diluizione e durata del tutto. Un po’ come se la band di Enthrone Darkness Triumphant avesse spinto l’acceleratore sulla componente death, eseguendo pezzi decisamente più complessi e con sbocchi molto più inaspettati ed imprevedibili. Un aspetto certamente soggettivo che molti potranno non considerare, ma che mina un po’ all’economia stessa di “Agony” e che, solo per questo, lo rende praticamente da quattro stelle e mezza su cinque. Su tutte, l’accoppiata micidiale “The deceit” (segnata dall’alternanza del growl con una voce pulita, quasi in falsetto, poggiando il tutto su riff piuttosto crudi) seguita da quello che considero il capolavoro del CD, ovvero “The violation“: 6 minuti di sinfonia brutale che evoca una battaglia interiore intensa e lacerante, in attesa di una riscossa conclusiva di devastazione assoluta. Difficile descrivere meglio quei minuti che non vorresti finissero mai, semplicemente indimenticabili fin dal primo ascolto. Di fatto, quindi, Agony sembra essere stata plausibilmente una delle migliori produzioni mai sentite in ambito metal italiano durante il 2011, anche se tra i diversi brani solo alcuni spiccano in tutto il proprio splendore.