Fobie Blog Tour – sesta tappa

Creato il 16 dicembre 2011 da Sulromanzo

(leggete anche la Quinta tappa del blog tour)

Buongiorno Alberto, anzitutto ci sveli qualcosa di Fobie? Come è nata quest’antologia di racconti a tema?

Fobie è un progetto letterario di Alessandro Greco basato su un’idea semplice ma geniale: scegliere una manciata di giovani autori dalla penna brillante e dar loro in pasto una fobia, una qualsiasi a scelta fra le centinaia ufficialmente catalogate sul sito fobie.org e che caratterizzano l’essere umano. Ogni autore poteva affrontare il tema con ampia liberta creativa, all’interno di alcune linee guida. I quindici racconti sono quindi stilisticamente diversi fra loro, ma in comune credo abbiano la capacità di divertire e sorprendere per scelte narrative e linguaggio. L’argomento d’altro canto si presta, non c’è veramente limite all’assurdità di certe paure e ossessioni dalle quali l’uomo contemporaneo si fa condizionare!

Qualche esempio di fobia affrontata nel libro?

Fra le altre, ricordo la paura della libertà (Eleuterofobia), la paura della suocera (Penterafobia), la paura della giustizia (Diquefobia), la paura dei comunisti (Bolsefobia). Senza neppure imporcelo abbiamo tutti evitato le fobie più comuni come la paura del vuoto, dei ragni o dei luoghi affollati. La scelta di andare su fobie ugualmente nocive ma meno note credo possa ampliare le chiavi di lettura di questi stati emotivi davvero suggestivi. A volte situazioni grottesche hanno risvolti drammatici, altre volte il dramma risulta involontariamente comico, proprio come succede alle nostre vite reali. Credo che questa raccolta sia divertente ma niente affatto banale. Anzi.

Qual è la fobia del tuo racconto L’estate dell’esteta?

La Cacofobia, ovvero la paura della bruttezza. Mi interessava il tema, e il nome suonava simpatico. È un racconto ambientato su una spiaggia adriatica, e verte sul rapporto fra due casuali vicini di ombrellone: il raffinato Alessio, giornalista sportivo con famiglia al seguito, e lo sfortunato Manlio, ex operaio ora cieco e su una sedia a rotelle dopo un incidente sul lavoro. Questi due personaggi molto diversi fra loro durante i giorni di vacanza balneare passano al setaccio l’umanità splendidamente abbruttita dei giorni nostri.

Umanità splendidamente abbruttita è una definizione curiosa.

Curiosa come tutti gli ossimori, e quindi ai miei occhi interessante. Viviamo fra mille incoerenze, il nostro mondo è un ossimoro dietro l’altro. Ho attraversato gli anni ’80, e quindi in parte condivido le condanne per l’edonismo sfrenato di quel periodo storico. Però credo che allora nella materia eravamo dei veri dilettanti in confronto ai giorni nostri. Ormai non si finge neanche più. La vanità da reality televisivo e il crollo totale del senso civico a favore del più bieco egoismo e della fatuità sono due degli aspetti più rilevanti di questa società. Mettiamo trucco e parrucco sui nostri difetti, e a forza di farlo ci siamo dimenticati quanti e quali sono, oppure arriviamo persino a venderli per pregi. Bene o male tutti siamo influenzati da questo atteggiamento, e trovo che ci siano riflessi interessanti da affrontare con la scrittura. Il mio racconto si prende dunque gioco della ingloriosa caccia moderna alla bellezza apparente, ma siccome i paradossi sono sempre in agguato quando ci si erge a censori, gli stessi protagonisti del racconto dimostreranno che le verità dei gesti non sono mai semplici da cogliere, e che anche le singole parole possono assumere significati opposti.

In generale, quanto c’è della tua vita e delle tue esperienze vissute in ciò che scrivi?

Direttamente, quasi nulla. Indirettamente, tutto. Ci sono lettori che  pensano che se una storia viene scritta in una enfatica prima persona, questo significa che il protagonista è in realtà lo scrittore e il narrato corrisponde al vissuto. Sì, può essere, qualche scrittore ha una vita che da sola vale un romanzo o almeno qualche buon racconto. Ma la stragrande maggioranza no, e io sono uno di questi. Sono anche convinto che se uno narra troppo di sé significa che l’ego ha preso il sopravvento sull’arte magica del raccontare il mondo. Personalmente utilizzo la mia fantasia sia per interpretare quello che ho visto e provato, sia per ipotizzare quello che non ho conosciuto ma che in qualche modo percepisco. Esigo da me stesso la stesura di storie con più chiavi di lettura, e le scrivo nello stile che più mi attrae come lettore: quello che parla con franchezza alle emozioni di ciascuno. Con L’estate dell’esteta, volendo, si può piangere dal troppo ridere o ridere per non dover piangere.

Quali sono state le difficoltà principali nella scrittura del racconto?

La difficoltà sta già nello scrivere un buon racconto, perché per certi versi è il componimento letterario più difficile. Scrivere un romanzo è senza dubbio più impegnativo, ci impieghi un sacco di tempo e devi far quadrare tante cose. Ma in realtà il romanzo permette qualche errore parziale, perché esso ha molto tempo a disposizione per farsi comunque apprezzare, e dunque ricordare, dal lettore. Il racconto, invece, o sa creare un mondo interessante in una manciata di righe oppure muore pochi minuti dopo essere nato, senza quindi lasciare memoria di sé. Le difficoltà particolari per questo pezzo erano legate alle linee guida da rispettare, ma anche al giusto bilanciamento da fare tra i piccoli drammi della quotidianità e il complessivo sarcasmo del testo. La difficoltà principale però per me resta sempre la stessa: essere sicuro di aver dato il massimo prima di chiudere il file e spedirlo all’editore. Comunque ce l’ho fatta, anche stavolta sono scampato alla fobia della mia imperfezione. Per ora, s’intende.

Gli scrittori sono fobici latenti?

Senza il minimo dubbio. Portatori sani di vari disturbi della psiche, come tutti gli artisti. Chi ha quel grado di sensibilità necessario ad ascoltare il mondo e il giusto grado di presunzione per poter pensare di raccontarlo, non può che vivere sulla soglia di qualche patologia. Forse, più ti avvicini al limite e più scrivi meglio, ma il finale di vita del grande David Foster Wallace non mi attrae, preferisco rimanere un autore infinitamente minore ma vivo. Ad ogni modo, sono certo che questo L’estate dell’esteta basterà per farmi diventare un pazzo agli occhi di qualche bigotto benpensante. È un sollievo saperlo.

Come ti sei avvicinato alla scrittura, e hai qualche abitudine o vizio quando scrivi?

Ho una formazione tecnica (sono geometra) ma sin da ragazzo leggevo a più non posso libri, fumetti, riviste, qualsiasi cosa. Le storie, il senso dell’avventura, e la bellezza della lingua italiana mi hanno sempre attratto. Ho iniziato a scrivere seriamente una decina di anni fa. Cominciavo a non contenere più la pressione, sapevo che avevo qualcosa da raccontare ma dovevo affinare gli strumenti perché essere un buon lettore è condizione necessaria ma non sufficiente per scrivere. Sono quindi poche le cose prodotte che ho mandato in giro. L’amore sparito dalla faccia della Terra è la molla principale che mi porta a scrivere: siano esse storie thriller, noir, sentimentali o intimiste, al centro c’è spesso una voglia di rivalsa contro la mancanza di passione che caratterizza questo mondo, tecnologicamente avanzato ma umanamente assai scaduto. Mi piace mettere a confronto nei miei lavori gli uomini e le donne che vorrei e quelli/e che oggi imperano. Mi attirano i contrasti. L’amore e la violenza assoluta. Il senso della vita e la morte. In fondo non c’è altro di veramente importante. Abitudini strane quando scrivo? Uhm, temo di essere banale: non bevo alcolici, non ho mai fumato, non sgranocchio noccioline o resti umani, non ho orari particolari, non ascolto musica perché preferisco il silenzio. Piuttosto capita spesso che senta oltre la porta le urla dei miei figli che bisticciano per qualche cazzata assurda, e questo di conseguenza fa virare il tono del testo in elaborazione sul noir totale alla James Ellroy. Così dopo un po’ chiudo Word, porto al campo il figlio maschio per una sfida a calcio o a basket, poi una volta a casa rimetto a posto il testo.

Progetti futuri?

Sto lavorando a tre cose diverse: due romanzi e una raccolta di racconti. Ovviamente tutti e tre capolavori, come i libri di ricette delle scrittrici Parodi e Clerici. In attesa che arrivi un editore, tengo la linea mangiando tutt’altro, me ne sto nell’ombra e studio le persone, come qualcuno che presto conoscerete.

Alberto Gherardi è nato a Bergamo nel 1966 e vive in un paesino di montagna delle Orobie.

Scrive racconti e romanzi d’ogni genere, non ha fobie e senza paura ammette di avere molti difetti, tipo un profilo personale su Facebook. Ha gestito per alcuni anni un forum di narrativa. Ha pubblicato Cuori d’altopiano (Lubrina Editore, 2008) e racconti in alcune antologie.

***

Il Fobie Blog Tour riprenderà lunedì 19 dicembre su Party di due menti malate

Sabato 17 dicembre, ossia domani, ci sarà la presentazione ufficiale (prima assoluta) dell'antologia a Pescara, in un evento che promette scintille.

Fobie: un'antologia... da paura!

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