(…) Si inerpicò tra le montagne. La stagione era cambiata anzitempo, c’erano già alberi spogli, di verdi più nessuno. Trascorse la notte su una cornice di roccia sopra il fiume e fino alla mattina dopo continuò a sentire i fantasmi dei treni di legname, un clicchettio liquido, lunghe manovre e sferragliamenti, il gergo dei vecchi pianali arrugginiti su binari scomparsi da un pezzo. Le prime albe gli diedero quasi la nausea, tant’era il tempo che non ne vedeva da sobrio. Rimase seduto a guardare nella fredda luce grigiastra, mummificato nella sua coperta. Soffiava un vento leggero. Una nuvolaglia imbrattava il cielo a est, virò al viola e al giallo e il sole cominciò ad affacciarsi. Quel silenzio assoluto lo commosse. Si girò per offrire le spalle al tepore. Foglie gialle cadevano ovunque nella foresta e riempivano il fiume, navette occhieggianti, una cascata di lamine dorate impetuose come monetine in una diga. Valuta effimera, sempre nuova. (…)
Cormac McCarthy, Suttree. (Traduzione di Maurizia Balmelli)
[Meraviglioso, sorprendente romanzo. Tra i più belli che io abbia mai letto e che rileggerei, subito].
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