Folgore

Creato il 12 settembre 2013 da Sallyseton @martatraverso
Fatto vero, dichiaratamente vero. Per una volta. Non abituatevi a tanto lusso.

14 agosto.  Oggi pomeriggio alle 16.30 ho preso la scossa in un bagno di Alassio.
Cosi enunciato, questo incipit rischia di lasciare il tempo che trova, dico bene? Tanto più che l'aspetto narrativamente interessante - una mia ipotetica morte per sovraesposizione elettrica - viene più che smentita dal fatto che io sia qui a scriverne. La scossa non ha (almeno in apparenza) leso le mie facoltà mentali né ridotto le mie sensibilità tattili. La mano destra, in particolare il dito indice, appare solo leggermente - e ci tengo a precisare leggermente - più calda della sinistra, pervasa da un appena percettibile formicolio e con una lievemente maggiore sensibilità al dolore. Tutto qui. Come dicevo, poco interessante.
L'aspetto su cui la mia mente si sta soffermando ora, man mano che lo spavento si affievolisce, è la dinamica degli eventi, o meglio la sua ricostruzione. Ripenso a un workshop di scrittura cui ho assistito lo scorso autunno: il relatore ci chiese la sequenza esatta dei gesti che abbiamo fatto quella mattina lavandoci i denti. Un'azione che compiamo (o dovremmo compiere) almeno tre volte al giorno, tutti i giorni, da che abbiamo memoria. Eppure... 
Provate con me: teniamo gli occhi aperti o chiusi?  Se aperti, dove guardano?  In che posizione è la mano che non tiene lo spazzolino?  Le gambe sono chiuse o divaricate?  Rigide o piegate? In quale lato incliniamo la testa quando ci chiniamo per sciacquare la bocca? E all'inizio, mettiamo prima il dentifricio sullo spazzolino o prima apriamo il rubinetto? Eppure...
Il concetto qui è lo stesso. Ho preso la scossa perché mi asciugavo i capelli scalza in un bagno dal pavimento teoricamente asciutto e con un impianto elettrico prebellico, mentre con una mano (la destra? O la destra impugnava il phon?) cercavo di estrarre la spina da una presa un po' dura.
Il tutto è durato tre, quattro secondi. Il tempo di due urli, uno più breve e uno prolungato. Ricordo che il phon vibrava fortissimo nella mia mano (quale?), che cercavo di aprire le dita per liberarmene ma ero come incollata. La vibrazione era forte e diffusa, credo di averla sentita fino al gomito ma non potrei giurarci. Il resto... Le gambe mi tremavano?  La scossa era arrivata fin lì? Ho tenuto gli occhi aperti tutto il tempo o per almeno una frazione di secondo li ho chiusi? La porta del bagno era chiusa o aperta? E la finestra? Subito dopo ho posato io il phon nel lavandino o ci è caduto da solo? La luce della specchiera ha tremolato o è rimasta sempre accesa? 
Ricordo che la mensola vibrava, in quei secondi di paura temevo anche potesse staccarsi e finire a terra, e sarebbe toccato poi pagare i danni, sì che sarebbe stato un bel guaio. Ma non è avvenuto.
Ecco, passata la paura rifletto sulle dinamiche di una narrazione. Il vissuto autobiografico dovrebbe essere il più facile da scrivere. Riportare fedelmente quanto mi è avvenuto circa due ore fa dovrebbe risultare più semplice dell'inventare vissuti altrui ed estranei. Eppure...
Cordialmente,

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