nello stillicidio dei dissimulati umori
e anneghi in esso l’avido commercio
dei buoni e ostentati sentimenti.
Non mi ci trovo nella diffusa
pratica della follia stereotipa,
della conforme evasione dalla norma.
Per conto mio, conosco, caro Clemente
Rebora, l’abbandono alla demenza
che non sa impazzire; o, come
il demoniaco Achab, alla follia
invasata che s’acquieta solo
per meglio comprendersi; o a quella
simulata d’Amleto, follia di ventre
che si finge di ragione, disperato
esorcismo sulle macerie del disincanto.
Chi ride del folle ne teme
la spassionata logica che attenta
alla miseria variopinta
del migliore dei mondi possibile.
Chi ride del folle non ha lacrime
che per se stesso ed ha disimparato
a versarle.
Un tempo era sacra, la follia;
ora, lasciatela, vi prego,
tra le poche cose serie
che ci sono rimaste.