Fondazione Marconi, NATURA MORTA per Emilio Tadini, voce Francesco Tadini – archivio Spazio Tadini

Creato il 19 aprile 2012 da Francescotadini @francescotadini

Fondazione Marconi - prima Studio Marconi – voce Francesco Tadini, testo Emilio Tadini. http://francescotadini.net/ e http://friplot.wordpress.com/ per archivio e quotazioni Tadini.  - Spazio Tadini – a cura di Melina Scalise – raccoglie e pubblica queste letture / audiolibro (potete ascoltarla cliccando il video / youtube, in fondo al testo). Il testo di Tadini intitolato NATURA MORTA è parte del catalogo di una mostra del 1983 a Studio Marconi (ora Fondazione Marconi, diretta da Giorgio Marconi) di Milano. Tadini: In italiano, un dipinto che raffiguri un gruppo di oggetti si chiama “natura morta”. In origine era una traduzione dell’olandese “natura (vita) ferma” e serviva per definire una pittura in cui non apparissero figure dotate di movimento. Ma l’introduzione di quell’aggettivo “morta”, riferito a “natura”, sembra acquistare anche un altro senso, intensamente simbolico.  >>

Gli oggetti, anche i più umili, sono strumenti della tecnica. E “tecnica” è tutto il sistema che l’uomo mette in atto per uscire dalla natura e per sopravvivere separato (almeno in parte) dalla natura.

“Tecnica” è tutto il sistema, metafisica compresa. (In una natura morta, fiori e frutti sono rappresentati in quanto cose — separati, staccati con violenza dalla natura.

Sono rappresentati in quanto “disposti” dalla tecnica, sottomessi alla tecnica. Gli animali rappresentati a volte in una natura morta sono animali uccisi.) Gli oggetti fatti dall’uomo mediano il rapporto fra la mano (fra sensi più la volontà) e il mondo. Potremmo dire che accompagnano il mondo verso la mano e la mano verso il mondo. Ma sono strumenti. Sono già fuori dalla natura.

La parola “tecnica” designava per i greci anche ciò che noi chiamiamo “arte”. (Qualcosa ne è sopravvissuto quando noi parliamo dell’”arte dell’artigiano”.) E “tecnica”, come parola e come concetto, si contrapponeva a “natura”. Nella storia della pittura occidentale, l’introduzione del tema della natura morta segna un momento fondamentale, anche teoricamente. Non si tratta soltanto di una conseguenza del gusto intellettuale dell’epoca per l’osservazione e le classificazioni scientifiche. È che la grande orchestra dei temi “alti”, religiosi e storici, lascia il posto a una specie di musica da camera per immagini.

Arriva, nella pittura, la natura morta. E continua la caccia al tesoro. Si cerca in un altro posto. Che sia, il tesoro (il valore) lì a portata di mano? Che a impedirci di vederlo fosse proprio il suo essere troppo manifesto? Non è come se sugli oggetti dipinti in una natura morta ricadesse la luce del valore? E questa luce non sembra tornare giù dal cielo a cui era stata affidata? (È come una pioggia che, da una nuvola sovraccarica, cade su una terra inaridita…) Non si ha forse, con la natura morta, una piccola rinascita metaforica del politeismo? Come se il sacro monoteistico si spezzasse, andasse in frantumi. Come se adesso prendesse corpo, il sacro, moltiplicandosi, in ogni frammento dell’esistente.

Sono rappresentate, nella natura morta, le immagini di una specie di sacro laico. Nella pittura di cose “comuni e modeste”, scrive Hegel nell’Estetica, l’arte “elimina l’indifferenza”. Qui, “il sostanziale si conserva”. E “si fa valere la vitalità e la letizia dell’esistenza autonoma in genere”.

Che cos’è il contrario di quella “indifferenza” messa fuori causa dall’arte che rappresenta cose “comuni e modeste”? L’attenzione? La partecipazione appassionata? Il rispetto? I santi, nei grandi dipinti di soggetto religioso, guardavano in alto, verso la luce e il valore della verità. In una natura morta, la pittura ci fa guardare in basso: verso la luce e il valore del possibile. La luce che illumina le cose dipinte in una natura morta è forse la luce dello sguardo?

La luce dello sguardo lavora quelle cose dipinte come la mano ha lavorato gli oggetti. Ci sopravvivono, le cose. La materia di cui è fatto il nostro corpo è più vulnerabile, più fragile, più effimera. Così le cose, nel dipinto, sembra che restino indietro, ferme. A volte è come se allungassimo le mani senza poterle toccare.

Non è anche, ogni natura morta, archeologia? Oggetto di una scienza del passato, quelle cose dipinte. Simbolo silenzioso di un’esistenza respinta ormai verso il bordo dell’incomprensibile. Come se le potessimo guardare, quelle cose, con l’occhio intento e smemorato di qualcuno venuto da un altro tempo. Un archeologo, appunto.

Nello spazio dell’archeologia — del museo — le cose sembrano voler riassorbire in una forma inerte e inalterabile l’irraggiare luminoso di tutte le loro funzioni. Dobbiamo incominciare ad amarle con molta cautela e intensamente: solo così capita che quella tensione si allenti, che un poco di luce torni a farsi vedere. Le cose quotidiane, dipinte in una natura morta, non sembrano alzare la loro minuscola mole ai limiti del tragico?

E allora può darsi che il sacro e il terribile riescano a stare insieme — attraendosi e respingendosi — in una tazza, in un vasetto, in una mela. Che carica di energia smisurata! E che violentissima esplosione, a poter infrangere questa specie di atomo! Il valore. Il tragico. Da un fuoco all’altro oscillano le figure. Anche le figure semplicissime delle cose quotidiane. Lentamente, a quei fuochi, si consumano.

Emilio Tadini
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Queste registrazioni di Francesco Tadini integrano in progress l’archivio Tadini – di testi e immagini – che Spazio Tadini (attualmente diretto da Melina Scalise, che cura e pubblica anche questi video) continua a dedicare a Emilio Tadini. Programmi di Spazio Tadini (sino a fine maggio 2012):

1- A Spazio Tadini, esposizione di Giancarlo Nucci – una selezione di opere realizzate dal 1989 ad oggi a rappresentare fatti che hanno lasciato traccia indelebile nella storia e nel modo di vivere dell’uomo contemporaneo, come il crollo delle torri gemelle. 

2- A Spazio Tadini, PROMENADE:  quattro fotografi con in comune una ricerca sul paesaggio: dal realismo e documentazione antropologico-sociale  alle visioni più concettuali e di raffinata ricerca formale: Alessandro Grassani, Daniele Portanome, Fabio Barile, Lorenzo Mussi. Spazio Tadini in occasione della rassegna Photofestival apre a un progetto che promuove la fotografia italiana nel mondo con una galleria web: Fotonomica. E’ novità, nel rapporto tra professionisti della fotografia, giacché costituita interamente da fotografi che promuovono, a loro volta,  altri fotografi.

3-  Dal 10 al 26 maggio 2012: L’artista Elena Cirella, allieva all’Accademia di Roma di Trotti ed Avenali, rappresentante di un filone figurativo che non si è mai esaurito nella capitale, si presenta a Milano con una doppia esposizione alla Galleria Cortina (dal 9 al 19 maggio) e allo Spazio Tadini (dal 10 al 26 maggio). La mostra Affioramenti espone opere realizzate lungo l’arco di 20 anni dalla prima maniera drammatica, espressionista, ancora nella traccia di una tradizione iconografica sintatticamente organizzata, alla progressiva liberazione dall’inquadramento compositivo, per arrivare con il ciclo Cavalieri ad un linguaggio autonomo, personale, riconoscibile e decostituito; un ritorno agli elementi basilari del disegno nella ricostruzione attiva del nuovo. …  fino ai limiti del graffitismo, senza smarrire mai il calore e il corpo del veicolo espressivo della materia ad olio. Catalogo disponibile a Spazio Tadini e Galleria Cortina (Associazione Culturale Renzo Cortina, diretta da Stefano Cortina) curato da Raffaella Aragosa, con testi di Melina Scalise, Stefano Cortina, Kristian Betti, Rachid Benadj, Valeria Vaccari, Paolo Melissi.

Un ringraziamento da Francesco Tadini a tutti gli assidui frequentatori del sito /archivio on line.

Gianfranco Pardi

Francesco Tadini consiglia: lettura di versi di Gianfranco Pardi in dedica a Emilio Tadini dal libro Torno subito: vedi LINK al canale Youtube di Francesco Tadini.

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