Esiste però un’eccezione: se la rendita vitalizia che matura con la conversione di almeno il 70% del capitale risulta inferiore alla metà dell’assegno sociale Inps (cioè inferiore a 2.674,94 euro annui), il capitale maturato nei fondi pensione può essere riscattato subito per intero.
Pe quanto riguarda la rendita, il lavoratore che ha maturato i requisiti per ottenere la pensione, ha la possibiltà di optare, in base alle sue preferenze ed esigenze, per una delle tre tipologie:
> Rendita vitalizia senza reversibilità. Il lavoratore è l’unico beneficiario. Alla sua
morte l’erogazione della pensione si interrompe. Chi sceglie questa soluzione riceve una pensione più elevata rispetto a chi opta per la reversibiltà.
> Rendita vitalizia reversibile. In questo caso il lavoratore può indicare un beneficiario (ad esempio il coniuge oppure un figlio o anche una terza persona), il quale, alla morte del lavoratore medesimo, percepirà una rendita vitalizia. Va ricordato, però, che chi sceglie la reversibilità riceve, al momento di andare in pensione, una rendita inferiore a quella che percepirebbe senza la reversibilità. La decurtazione varia a seconda dell’età anagrafica dell’erede. Per esempio, chi designa come beneficiario un coniuge coetaneo, subisce da subito un taglio all’incirca del 20% della pensione integrativa lorda. Se viene designato invece un figlio molto giovane, subisce una decurtazione immediata attorno al 50%.
> Rendita certa per 5 o 10 anni e poi vitalizia. La pensione integrativa viene erogata, in ogni caso, per un periodo di 5 o 10 anni (a scelta del lavoratore). Se il lavoratore muore prima, la pensione spetta comunque, per il periodo designato (ripetiamo 5 o 10 anni), agli eredi. Se invece lo stesso lavoratore rimane in vita per più di 5 o 10 anni percepirà la pensione a vita, ed alla sua morte non spetta agli eredi. Anche chi sceglie questa soluzione riceve una pensione più bassa, ma la decurtazione è di solito di circa il 5% dell’importo lordo.