Mi sistemo sul balcone a leggere Annus Horribilis di Giorgio Bocca. Chissà perché leggere ciò che penso da anni, ma non riesco a esprimere come vorrei, mi frustra un po’ ma, al contempo, non mi fa più arrabbiare.
Troppa abitudine, la realtà che supera sempre anche le fantasie più sfrenate e che sembra non toccare la coscienza di nessuno.
Così alzo lo sguardo e comincio a osservare i forzati della corsa mattutina. Poveri disgraziati sfiniti e claudicanti che sciabattano mezzi di traverso come granchi ubriachi. Magliette madide di sudore, culi che saltellano in controtempo, tette stufe di rimbalzare che sussultano tristemente a ogni passo. Signori attempati, padri di famiglia, nonni in pensione, che sembrano avere ancora appiccicati addosso giacca e cravatta, piegati come a scalare inesistenti salite, privi di qualunque eleganza nella corsa, con lo sguardo esterrefatto di chi ha superato la soglia della sofferenza fisica.
Orologini elettronici al polso di signore attempate e inesorabilmente sovrappeso, che misurano tempi immaginari e inutili, o forse, solo le pulsazioni impazzite di un cuore che non ha nessuna voglia di continuare a essere strapazzato inutilmente.
Bolsi uomini di mezza età con la marca delle chiavi inglesi o la pubblicità del panettiere bergamasco, o del dopolavoro, stampate sulle magliette.
Ragazze con le tutine di dimensione danza che faticano a contenere coscioni possenti come quelli dei sollevatori di pesi che ogni quattro anni, si vedono alle olimpiadi, e l’occhio che continua a saettare nervoso al contapassi, per sapere quanto manca alla fine ineluttabile di qualunque organismo biologico.
Un florilegio che si presenta implacabile tutte le mattine, da che albeggia, fino a mattino inoltrato. Sotto il sole cocente, oppure dentro una tempesta di pioggia. Per loro non fa differenza, quello che conta è mantenere la media, non perdere il passo sciabattante, con la testa che ciondola priva di volontà propria, il sudore che cola copioso e, ne sono sicuro, che si mescola alle lacrime di sofferenza e rabbia verso un corpo che si rifiuta ostinatamente di assomigliare a quello delle pubblicità della televisione.
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