Forchette deluse diventano forconi

Creato il 18 gennaio 2012 da Albertocapece

Licia Satirico per il Simplicissimus

Una regione in ginocchio: code faraoniche presso i distributori di benzina, supermercati saccheggiati, traghetti bloccati, autostrade e ferrovie occupate. Si registrano in aggiunta un piccolo accoltellamento rusticano durante un blocco autostradale a Lentini e un mancato strike di manifestanti sui binari lungo la tratta ferroviaria Messina-Palermo. Questo è il bilancio grottesco delle prime tre giornate di protesta indette dal movimento Forza d’Urto, nato dall’unione tra l’Associazione autotrasportatori siciliani e il movimento dei Forconi. Quest’ultimo rappresenterebbe le istanze degli agricoltori e dei pescatori dell’isola, i quali avrebbero forse dovuto pensare, per par condicio, ad un parallelo movimento del Tridente in omaggio a Nettuno.

Forza d’Urto si definisce un gruppo apolitico e apartitico nato per l’aggregazione spontanea e l’esasperazione progressiva di una regione impoverita e sfruttata, isolata nei collegamenti e nelle prospettive. I toni sono sopra le righe: “in Sicilia è iniziata la rivoluzione”, si dice parlando con orgoglio delle “cinque giornate di Sicilia” e di un’intera società “incazzosamente in fermento”. Le rivendicazioni, altrettanto sopra le righe, saltano di palo in frasca: oltre alla defiscalizzazione dei carburanti, i Forconi chiedono a gran voce la fine dei sacrifici imposti dal governo Monti, la “cacciata dei creditori stranieri” e l’applicazione dell’articolo 37 dello Statuto, che prevede di trattenere nell’isola le imposte sulle imprese che hanno in Sicilia stabilimenti e impianti. Già che ci sono, i Forconi rivendicano – per la gioia della Lega e della Merkel – la possibilità per la Regione Sicilia di stampare autonomamente moneta. Si fa, è proprio il caso di dire, di tutta l’erba un fascio: non solo per il frequente richiamo, caro in altri tempi a don Raffaele Lombardo, ai Fasci siciliani, ma soprattutto per la contiguità tra Forza d’Urto e Forza Nuova. La manifestazione “apolitica e apartitica” ha infatti ricevuto su internet solo il pieno sostegno del partito nero di Roberto Fiore. D’altronde il dirigente della sezione catanese di Forza Nuova Gaetano Bonanno è intervenuto alla prima manifestazione forconesca etnea il 15 gennaio scorso. A parte il centro sociale Anomalia (nomen omen), nessun esponente politico isolano prende la parola pro o contro i Forconi: omertà o imbarazzo?

Il movimento, sulla sua pagina Facebook, si difende dicendo che non può impedire a nessuno di partecipare. Il problema è che Martino Morsello, leader dei Forconi, non è esattamente nessuno da questo punto di vista: nel dicembre scorso ha parlato, in qualità di esperto di agricoltura, al congresso nazionale del partito di estrema destra. Interpellato sulle sue tendenze politiche (che affondano le radici nel vecchio PSI), Morsello glissa cavalcando la tigre demagogica della protesta trasversale: “chiunque sostenga le nostre posizioni è il benvenuto, non importa che sia fascista, anarchico o autonomista. Qui la gente è povera e stufa”.

Non siamo di fronte a una fascinosa sommossa del pane: c’è una protesta reale strumentalizzata da soggetti politici opinabili. Viene spontaneo chiedersi cosa facessero i siciliani indignati quando nel 2001 la Sicilia regalava tutti i suoi seggi parlamentari al Pdl, quando nelle politiche del 2008 il Movimento per l’Autonomia, in corsa con la Lega Nord, totalizzava il quarantasette per cento dei voti, quando nell’aprile del 2008 Lombardo diventava governatore della Sicilia con il sessantaquattro per cento dei consensi. Molti forconisti sono lombardisti “pentiti”, che ora vedono nell’allievo di Calogero Mannino un profittatore indifferente alle sorti della sua regione. Dov’era questa gente quando Diego Cammarata, definito persino da Lombardo “il peggior sindaco della storia di Palermo”, veniva eletto a furor di popolo, quando la città di Messina rieleggeva un sindaco già dichiarato decaduto per una condanna definitiva, quando Catania si consegnava armi e bagagli al medico personale di Berlusconi per poi finire sull’orlo della bancarotta?

I risvegli della società civile sono segnali importanti e non possono essere sottovalutati. Deve però trattarsi di risvegli autentici, non dettati da autonomismi e particolarismi né manovrati da professionisti dell’antipolitica. La Sicilia è una terra difficile, dove il clientelismo e le prevaricazioni trovano terreno fertile nella formidabile vicinanza tra Stato e antistato. Qui la vera sfida culturale è il superamento dell’antica confusione tra diritti e privilegi: ma l’isolanità non è categoria dello spirito, ostacolo insuperabile al desiderio di integrazione. È bello pensare a una rivoluzione siciliana, ma per una Sicilia unita al resto del Paese da crescita comune, sviluppo e infrastrutture: più treni, meno forconi.


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