La forma di dimenticanza che invece vorrei ‘elogiare’ è quella che facilita una sana distanza dalla propria storia e dalle beghe personali. Ha una qualità di perdono e leggerezza, invita a muoverci una certa agilità lungo le strade della vita. Come rispose una volta Massimo Rodolfi a chi si lamentava ‘che le sue valige erano pesanti’: “Ragazza, nel regno dei Cieli si entra al massimo con un beauty-case”.
Beninteso, occorre prima averla vissuta, sentita e anche sofferta in pienezza la propria storia per poi poterla davvero lasciare andare, specie nei suoi momenti più dolorosi. Tuttavia si nota un certo affezionamento, anche un po’ perverso, ai nostri problemi, alla nostra sfiga, alle nostre sconfitte, alle nostre paure. Non di rado, tutti questi ricordi infelici - talvolta anche nostalgicamente felici- sono una zavorra che ci impedisce di andare realmente avanti. Zavorra anche nel senso più letterale del termine, perché i pesi interiori hanno la brutta tendenza a tradursi in peso corporeo o incapacità a dimagrire. Consideriamo un po’ quanta gente, quante situazioni, quanta roba portiamo mentalmente costantemente con noi.
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