30 aprile 2012 di Denis Michelotti Lascia un commento
Il circuito di Sakhir
A una settimana di distanza dal discusso GP del Bahrain, disputatosi in un clima surreale per le proteste del popolo contro il regime del re Hamad bin Isa al Khalifa, l’attenzione mediatica verso il paese mediorientale si è affievolita come le urla che giungevano dai villaggi vicini all’interno del circuito lo scorso 22 aprile. Da tempo i cittadini manifestavano il dissenso verso un sovrano accusato più volte da Amnesty International di violare i diritti umani. Il Gran Premio è stato utilizzato dal popolo del Bahrain come un veicolo comunicativo per sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale. Per i ribelli l’occasione era ghiotta e gli scontri per reprimere la protesta sono stati violenti, tanto che una persona è rimasta addirittura uccisa andando ad aggiungersi alle vittime dei mesi precedenti. Sul circuito di Sakhir però si è corso lo stesso nonostante i tentennamenti dei vertici della FIA.
Il popolo manifestante del Bahrain
La popolazione ha definito la tre giorni di prove e gara come “la Formula uno di sangue” per contestare la scelta del regime di organizzare un evento così importante senza curarsi delle difficili condizioni di vita dei suoi sudditi. Il re, per gettare acqua sul fuoco, è addirittura intervenuto dichiarando di essere disponibile ad un “dialogo sincero” con la sua gente e di volersi “riconciliare” con essa, promettendo personale impegno per realizzare la riforme necessarie. Peccato che in occasione dei funerali dell’attivista ucciso gli scontri si siano riaperti e che solo poche agenzie abbiano riportato la notizia. Senza entrare nella questione politica, quello che viene da chiedersi è se era il caso o meno di far disputare la competizione in un clima di estrema tensione. La risposta, a nostro avviso, potrebbe essere affermativa solo nel caso in cui il regolare svolgimento dell’evento fosse stato visto dal mondo della F1 come l’occasione per mettere in evidenza i problemi e le difficoltà di un popolo da tempo maltrattato.
Quello che invece ci è parso è che il GP si sia svolto soltanto per meri interessi economici. Dal board della FIA ai piloti si sono intravisti imbarazzo e difficoltà nel rispondere alle domande extrasportive che gli venivano poste dai cronisti. Passata la tre giorni poi, il silenzio. Certo, la Formula 1 è uno sport d’elite per eccellenza, ma assistere ad una gara nel deserto, con gli spalti semivuoti, perché al di fuori del circuito avvenivano da giorni violenti scontri, ci è parso assai triste. E ancor più triste è stato vedere come i team abbiano liberato i box in fretta e furia per poi insabbiare il tutto ed archiviarlo nel dimenticatoio. Di sabbia, nel deserto, ce n’era già a sufficienza.
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