Fornero? Chiedo scusa a nessuno

Creato il 02 aprile 2012 da Zfrantziscu

di Francu Pilloni
Pur essendo un pensionato, non sento il bisogno di scusarmi con chicchessia, lavoratore o pensionato, se mi sento pienamente dalla parte della Fornero; non chiederei scusa a nessuno se fossi al suo posto, avendo detto e fatto le cose che le si addebitano; non chiedo scusa perché ho esperienza che in Italia non solo è più facile offendere e irridere una donna al potere, ma ci si prova ancora più gusto. Infine, non chiedo scusa neppure per la commozione in diretta televisiva di chi nel giro di una settimana ha sofferto il vortice di un cambiamento così repentino, passando dalla eminente routine  dell’insegnamento e della ricerca universitaria al mare agitato del governo di un Paese sull’orlo dell’abisso. Al suo posto, ditemi, avrebbe pianto la Bindi o la ex ministro dell’Istruzione che ha massacrato la scuola pubblica? Oppure il suo predecessore al Lavoro, Sacconi, o l’esuberante ex ministro Scaloia? Li ammirate perché non si commuovono?
Nella recente puntata di Servizio Pubblico di Santoro, è andata in onda ancora una volta la protesta operaia, dura come non si era mai vista, dato che alla fine si è rivoltata contro lo stesso conduttore: erano le maestranze della Fincantieri di Genova che, bisogna tenerlo a mente, non sono a rischio disoccupazione dall’11 novembre scorso, cioè dalla nomina del nuovo governo, ma da anni e anni. Questi operai, come migliaia, centinaia di migliaia di altri, vedi quelli dell’Alcoa di Portovesme, hanno cento ragioni ed un unico torto: le cento ragioni le hanno espresse a sufficienza loro stessi; io cerco di spiegare il loro unico torto, partendo dalla sostanza delle cose, perché sostanza è una busta paga da 810 euro mostrata dal lavoratore in diretta (a fronte di una famiglia a carico, compresa la fattura del dentista da pagare); sostanza è un’industria che non crea ma distrugge posti di lavoro; sostanza è quest’Italia ricca, costituita nella più gran parte da cittadini poveri, di giovani costretti al sottoimpiego e al sottosalario, sempre che abbiano resistito all’idea di scappare; sostanza è la statistica secondo cui l’operaio e l’impiegato guadagnano, ai fini del pagamento delle imposte, molto più dei propri datori di lavoro; sostanza è che cento persone soltanto in questo Paese abbiamo privato gli oltre 40 milioni di cittadini abili al voto del diritto a scegliere il candidato preferito.
Se questi sono riconosciuti come problemi sostanziali nell’attualità di questo Paese, mi chiedo: cosa c’entra l’articolo 18? O una minima accezione di esso?
È più importante che i cittadini lavoratori si svenino in una improba battaglia per salvare la democrazia nelle fabbriche, battendosi all’ultimo sangue per l’art. 18, o che i cittadini tout-court lottino per la democrazia delle tasse e delle imposte contro gli evasori che sono i furbi, gli arroganti, i poveri ricchi di questo Paese? Ci sarà più democrazia quando ciascuno pagherà al fisco in proporzione al reddito e alla ricchezza pur in assenza dell’art. 18, oppure adesso, permanendo lo stesso articolo?
La situazione ha del comico, se non fosse così tragica: gli oppressi, che si sminuiscono civilmente da se stessi identificandosi come disoccupati, lavoratori e pensionati e non come cittadini con pari diritti, sono spinti a correre e a urlare dietro un falso bersaglio da parte di potenti oppressori che, con calma, continuano a curare nell’ombra i propri interessi. La scena è pari a quella di quattro poveri cacciatori spinti ad inseguire una quaglia da chi, intanto, stanava la lepre.
Giacché siamo partiti da Servizio Pubblico, voglio terminare con Marco Travaglio che nella puntata ha paragonato la Fornero alla Signorina Rottermeier,  di Haidiana memoria, ma sono certo che non ne menerà vanto, non solo a causa del contenuto, ma specialmente perché le battute in se stesse sono state le più deboli, le più forzate e, lasciatemi dire, anche le più banali fra quelle sentite sino ad ora.
Una cosa infatti è parlare dei pirla di Bossi, altra dire del pianto della Fornero. E non perché uno si chiama Umberto e l’altra solamente Elsa.


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