Fornero, il sonno della ragione genera interviste

Creato il 12 settembre 2012 da Albertocapece

Licia Satirico per il Simplicissimus

Secondo Alessandro De Nicola, in un editoriale apparso su Repubblica il 7 settembre scorso, Elsa Fornero è decisamente una “costruttivista”, ovvero «un politico che pensa di vedere meglio degli altri non solo quali siano i fini cui deve tendere la società e gli individui che la compongono, ma anche di essere in grado di individuare i mezzi adatti a raggiungere quei fini». Le distorsioni della fallimentare riforma del mercato del lavoro, le originali idee della ministra sulla detassazione delle imprese virtuose, la fissazione verso il sempre citato modello “tedesco”, sarebbero la conseguenza diretta di questo atteggiamento intellettuale. Nulla di sorprendente, secondo l’economista (ben lontano da simpatie marxiste), che sia «da più parti segnalato al ministro che i contratti a termine non vengono rinnovati, che non si offrono più stage ai giovani e che, insomma, si sta distruggendo occupazione. Attendiamo che attraverso seri studi scientifici il ministro decida se è colpa delle sue riforme o della congiuntura».

La ministra ci ha pensato su qualche giorno, rispondendo oggi come un cyborg, sempre su Repubblica, alle critiche di quel liberista di De Nicola. La replica della Fornero conferma le costanti antropologiche che contraddistinguono la professoressa piemontese delle paccate: sullo sfondo delle citazioni perenni di fantomatici modelli esteri (stavolta tocca a Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda), LaFornero ripete in modo ossessivo-compulsivo le ragioni della riforma: quelle con cui, autoinvitandosi a cena, pensa di convincere pure i suoi contestatori a cambiare idea. Le ragioni prevalgono sulla ragione, o almeno sulla ragionevolezza di una riforma che ha ucciso i diritti, aumentato il precariato, esasperato la disoccupazione nell’era dei tecnici.
La ministra afferma che il governo ha cercato di procedere «con grande equilibrio, preservando le ragioni dell’impresa e della sostenibilità dei suoi conti». Parla della flessibilità come «problema sociale rilevante quando si trasforma in precariato per vasti segmenti della popolazione, come i giovani e le donne». Parla della riforma come se fosse una fondamentale conquista socio-politica, come se l’Italia, avvicinandosi a modelli europei da emulare, abbia reso il mercato del lavoro più adatto a un’economia competitiva. Come se la flessibilità, superando la crisi contingente, dovesse traghettarci davvero verso il regno dei contratti a tempo indeterminato e della tutela dei deboli. Parla come se ci credesse.

Insomma, se la riforma non decolla è colpa della crisi ma non di chi l’ha ideata (parola grossa, ideare). La replica non si preoccupa di essere né puntuale né incisiva. De Nicola, ad esempio, ha criticato il Fornero-pensiero sugli sgravi contributivi alle imprese che hanno una più alta percentuale di donne occupate: una soluzione del genere rischierebbe di premiare la Omsa, che si è trasferita in Serbia, e non altre imprese capaci di creare profitto e opportunità di lavoro. La ministra, dal canto suo, attribuisce lo svantaggio delle donne nel mondo del lavoro ai processi di selezione e di progressione della carriera, alla maternità e ai rischi di dimissioni in bianco scongiurati dalla riforma, che con gli incentivi fiscali citati da De Nicola non c’entrano nulla.

La ministra tace sulla questione degli sgravi contributivi e sull’accusa di aver complicato le cose semplici, aborrite – secondo De Nicola – dall’attuale classe politico-burocratica del Paese. LaFornero va avanti secondo il suo algoritmo: la riforma deve avere carattere “pragmatico” e non “dogmatico”, e in ciò consisterebbe la sua più importante innovazione di metodo.
Evidentemente il fallimento annunciato di una riforma impari ha carattere dogmatico: dogmatica la via già intrapresa per il referendum abrogativo, dogmatiche le critiche degli incompetenti che non vogliono darle fiducia. Dogmatico lo sgomento degli utopisti ostinati, che credono che nessuna riforma sia possibile senza una tutela del lavoro e delle fasce deboli, senza una visione del futuro che non sia “flessibile”. Dogmatiche le preoccupazioni sui salari minerali, sulle pensioni smart sideralmente lontane, sugli effetti sociali devastanti dell’incertezza come unica condizione di vita dopo la morte del welfare.
La riforma Fornero ha separato il mercato dal lavoro: la competitività ha sconfitto le garanzie, la prepotenza ha surclassato il dialogo, l’arroganza ha trionfato sulla solidarietà. La ministra indefessa scrive le sue buone ragioni certa di poterci convincere, o forse di vincerci per stanchezza: il sonno della ragione genera inchiostri.


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