Forum Economico Mondiale

Creato il 30 gennaio 2012 da Eastjournal @EaSTJournal

di Matteo Zola

L’Europa sarà distrutta

A Davos si sta tenendo l’annuale forum economico mondiale, gli economisti lì radunati si stanno guadagnando le prime pagine dei giornali con dichiarazioni a dir poco allarmistiche. Secondo l’economista Nouriel Roubini, della New York University, la Grecia sarà fuori dall’euro nel giro di un anno, seguita dal Portogallo, e l’intera area monetaria sarà distrutta nei prossimi 3-5 anni perché «l’euro-zona è come un disastro ferroviario al rallentatore». All’opinione di Roubini fanno eco quelle di altre economisti, non meno gravi. Christine Lagarde, direttore del Fondo monetario internazionale (Fmi), ha usato la platea di Davos per chiedere soldi. Lo ha fatto agitando la borsetta, già, perché i soldi del Fmi sono stanziati dai Paesi membri e l’attuale dotazione, di 385 miliardi di dollari (rileggete questa cifra), non è sufficiente ad affrontare la crisi dell’area euro. Ne servirebbero altri 500 miliardi, sempre di dollari. 

Il Fmi, al soldo di chi mette i soldi

Il Fmi ha il compito, almeno dal 1971, di concedere prestiti agli Stati membri in caso di squilibrio della bilancia dei pagamenti e si occupa anche della ristrutturazione del debito estero. In cambio il Fmi impone dei “piani di aggiustamento strutturale” come condizioni per ottenere prestiti o condizioni più favorevoli per il rimborso del debito che costituiscono l’aspetto più controverso della sua attività. E’ semplice: “se vuoi i miei soldi fai come ti dico io”. Il fatto è che come dice lui non sempre funziona. Non scomodiamo le disastrate economie africane, pensiamo alla nostra Europa orientale. Secondo il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz il Fmi ha lì operato con alcuni “difetti”: i prestiti concessi infatti sono serviti a rimborsare i creditori occidentali, anziché aiutare le economie nella transizione dal comunismo all’economia di mercato. In Europa orientale, poi, il Fmi ha appoggiato coloro che si pronunciavano per una privatizzazione rapida, che in assenza delle istituzioni necessarie ha danneggiato i cittadini e rimpinguato le tasche di politici corrotti e uomini d’affari disonesti. Stiglitz osserva che i risultati migliori in materia di transizione sono stati conseguiti proprio da chi, come la Polonia, non ha seguito le indicazioni del Fondo.

Stiglitz osserva anche come il Fmi prenda decisioni in modo poco trasparente, facendo gli interessi dei Paesi che ne sono i principali finanziatori. Non è un’accusa campata in aria: il voto dei Paesi membri non vale uno per ciascuno ma ha un valore percentuale che dipende da quanti soldi si versano. Il voto degli Stati Uniti, ad esempio, vale sedici. Il Giappone vale sei, la Germania cinque, la Francia quattro, la Cina e l’Italia tre.

Il Fmi e i pericoli per la democrazia

Il Fmi infine, secondo Stiglitz, impone le sue decisioni ai governi democraticamente eletti che si trovano così a perdere la sovranità sulle loro politiche economiche. Va però detto che quei governi hanno prima accettato l’aiuto economico del Fondo. Si tratta comunque di un problema grave in quanto l’Fmi è l’unico offerente e rifiutarne l’aiuto può voler dire andare incontro alla bancarotta. Accettarlo, invece, significa applicare misure di austerità che possono colpire gravemente lo stato sociale (pensioni, sanità, istruzione) senza escludere che si può comunque andare in bancarotta (il Senegal e l’Argentina sono lì a dimostrarlo). I mali del Fmi li riassume bene Michel Chossudovsky, importante economista canadese, che spiega come le politiche economiche del Fmi sono obbligatorie, e scavalcano la consultazione dei cittadini: la democrazia ne esce perciò impoverita. I cittadini, esasperati dalla disoccupazione e dall’inflazione, protestano invano. E per questo sempre più violentemente. Diventa allora necessario rafforzare gli organi di sicurezza e reprimere il dissenso. Così la democrazia viene messa ulteriormente in serio pericolo.

Grecia, Ungheria, Romania, commissariati o collassati

E’ quanto sta accadendo, seppur in diversa misura, in Grecia, Ungheria e Romania. In questi Paesi le proteste di piazza si sono fatte sempre più forti e la polizia è intervenuta reprimendo duramente le manifestazioni contro i governi e il Fmi. Proteste di cui poco o niente si parla (e allora ben vengano i seni al vento delle Femen se servono a “fare notizia”) ma che non sembrano destinate a placarsi. L’Ungheria, in verità, è un caso a parte poiché il tanto vituperato premier Viktor Orban (che personalmente non amo, dirò altrove il perché) ha rifiutato l’aiuto del Fondo cercando di proteggere l’economia magiara, tassando le banche, rinnovando la Banca centrale. Ma non è servito e in queste settimane sta rinegoziando l’aiuto del Fmi perché di fronte ha il collasso economico.

In Romania da due settimane infiamma una protesta di piazza (di cui nessuno parla) le cui cause profonde sono da ricercarsi nella peculiare transizione romena dalla caduta di Ceausescu ad oggi, ma che ha strettamente a che fare con l’attuale situazione finanziaria europea e con le ricette con cui la si affronta. Il Paese però non sembra avere davanti a sé alternative all’attuale corso politico, unanimemente concorde nel mettere (qualcuno dice “svendere“) il Paese nelle mani del Fmi.

C’è poi chi come la Grecia vive ore drammatiche. La Germania avrebbe infatti proposto di commissariarla. Berlino vorrebbe che fosse l’Unione Europea e non Atene a controllare il bilancio greco. Cosa che ha ovviamente mandato su tutte le furie Papademos, il premier greco accusato dai detrattori di essere “amico delle banche”. Una Grecia che finora ha ottenuto, in cambio delle gravi misure imposte dal Fmi, di ridurre il debito estero al 120% del Pil entro il 2020 (attualmente è al 160%). Insomma, ha ottenuto di passare dieci anni di recessione mantenendo un debito comunque elevatissimo. Una ricetta efficace? 

Domande alle Cassandre di Davos

Le domande che, senza essere economisti, crediamo si debbano porre a Davos sono proprio queste: le misure del Fmi serviranno a risanare le economie dell’area euro? Il Fmi è da riformare? Quali nuove istituzioni economiche possono rinnovare quelle nate nel 1944 dopo gli accordi di Bretton Woods? E’ possibile coniugare stabilità economica a equità sociale e, più provocatoriamente, è possibiledissociare il progresso umano dallo sviluppo? Domande troppo grandi per noi ma forse anche per le Cassandre di Davos.


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