Fosse e non fosse

Da Flavialtomonte

Fosse e non fosse.
Un fossi che non fossa, e un non fossi che affossa dentro una grossa fossa.
Il risuonare stanco della resa dei conti, e dei conti di una resina che non si è mai arresa.
Fosse solo così, potrebbe anche bastare. E invece basta la pasta che scotta, si abbassa quando è cotta, e incassa un’altra botta.
Non fosse così, saremmo già tutti al mare, sotto gli ombrelloni a far scaldare più sedie al sole che ai nostri retrogradi retrò, a costruire castelli di sabbia come architetti di tirocinio, a raccogliere grilli come fossero funghi, a calpestare il telo mare per evitare di insabbiarci ancora, e ancora sotto le docce calde, sudate e poi fredde e più rinfrescanti dell’acqua salata che dolcemente accarezza la pelle, e resta lì. Sale a iosa. Sale fuori e sale dentro, il rintocco del cuore, e sale nelle pentole che bolliscono gli spaghetti che finiscono, le betulle che fioriscono, le ciliegie che non marciano e i soldati che continuiano a farlo, e a morirci dentro.
E chi non è a mare, va al lavoro, e ci resta secco dal caldo. Chi non lavora, studia e si secca lo stesso.
Se fosse, e se anche lo sforzo bastasse, non pagheremmo più le tasse. Se invece non fosse che l’estate non arrivasse, e questo mare non sbattesse, il caldo ne soffrirebbe lo stesso.
Fosse o non fosse, sarebbe lo stesso.