È l’ultimo decennio del diciannovesimo secolo, da alcuni anni il Congo è sotto la sovranità del Belgio e il re Leopoldo mette in atto lo sfruttamento dei nativi per la raccolta della gomma che arriva alla schiavitù e all’assassino passando per la fustigazione, la tortura, lo stupro e il taglio delle mani. Coloro che non consegnavano la quota di gomma richiesta subivano tale amputazione, le mani diventarono presto la prova dell’esecuzione e contemporaneamente la giustificazione per i raccolti ridotti.
L’espressione “crimini contro l’umanità” fu usata probabilmente la prima volta dal movimento per la riforma del Congo.
In questo contesto la fotografia ebbe un ruolo rilevante poiché fece conoscere queste atrocità al mondo e contribuì a mettere in moto la campagna anglo- americana per porre fine ai crimini di re Leopoldo e della sua Force Publique.
Ce lo racconta con il suo humor nero anche Mark Twain nel suo Il soliloquio di Re Leopoldo. Fino a un certo periodo, ricorda il re, i racconti delle atrocità potevano essere confutati e denigrati come calunnie diffuse da “missionari americani faccendieri e stranieri. Sì, si andava d’amore e d’accordo in quei giorni. Poi tutto d’un colpo è avvenuto il crollo! Cioè l’incorruttibile Kodak, e tutto l’accordo è andato al diavolo!” La macchina fotografica è “il solo testimone che non si possa corrompere. Diecimila predicatori e diecimila giornalisti dicono continuamente una buona parola in mio favore. Poi, senza una parola, arriva quella volgare piccola Kodak, che un bambino può mettersi in tasca, e li mette k.o.!”
Le due immagini in alto solo un esempio (clic per ingrandire). Quella di destra, in particolare, ritrae un uomo di nome Nsala che, scalzo e seminudo, fissa qualcosa di indefinito davanti a se: la didascalia ci spiega che si tratta della mano e del piede della sua bambina di cinque anni che è stata mutilata, assassinata e mangiata dai rappresentanti africani della Anglo-Belgian India Rubber Company. La fotografia è attribuita alla missionaria britannica Alice Harris.
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