Rosa, Coro di notte, Monastero dei Benedettini, Catania
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Nun lu sapiti l’amuri ca v’haju
nun lu sapiti quantu vi disiu
nun lu sapiti comu chianciu e staju
quannu ca p’un mumentu nun vi viju.
Dintra di l’arma mia na vampa cci haju
e lu me cori è vostru e no lu miu
si moru mParadisu nun ci vaju
pirchì p’amari a vuj nun penzu a Diu.
Di nessuno. La voce di tutti, scorsa di bocca in bocca, generata dal padre e tramandata al figlio, diventa di nessuno. Le canzoni chi arriva se le prende, le inghiotte. Lo sai che resta di tutta la passione? Gli accenti. Le battute. Di tutto il significato resta il suono. Sotto il suono si muove una massa liquida, che si fa attraversare ma resiste, è come un esercito di fantasmi e di questa schiera faccio parte.
Fuori di qua il suono è folklore. Folklore viene dall’inglese e significa sapere del popolo. Il popolo non esiste più, al folklore è stato aggiunto il suffisso -istico, dispregiativo. Per il sapere del popolo proviamo vergogna. Cambia il suono, cambia il significato, e anche noi cambiamo, usiamo le parole come strumento, ce ne vogliamo impadronire e infine sono loro a impadronirsi di noi.
Il suono resta. L’amore, anche quello resta. Le cose che cambiano cambiano per restare. E se dico che sei il pane e che sei l’acqua dico che ho bisogno di te per vivere. Se dico che bruci, dentro di me, che bruci, mi avvicino al peccato e mi rendo riconoscibile agli occhi di Dio, occhi che non riconosco. Allora mi levo gli anelli dalle dita, mi spoglio per non avere nessuno. Entro in una chiesa e vedo solo panche vuote. Vedo il crocifisso coi piedi feriti e il capo spinato.
Nel monastero non ci sono più i monaci, ci sono ragazzi che si baciano incrociando le gambe. Ci sono i gatti, gatti che non sopporto, ai quali do da mangiare perché continuino a riprodursi sotto gli ulivi del cortile. Gli ulivi sono sempreverdi, sempre secchi, servono solo per l’ombra tra una lezione e l’altra. Mi sdraio su una panchina, sotto gli ulivi, vicino ai gatti, sento freddo e sento il sole, ascolto una canzone che fuori di qui è solo suono, solo qualcosa per cui chi non sa prova vergogna.
Tu non lo sai. L’amore che ho per te non lo sai.
Quanto ti desidero non lo sai.
Come piango, come sto, quando non ti vedo,
anche solo per un momento.
Nella mia anima una vampa arde
e il mio cuore è tuo e non il mio.
Se muoio in Paradiso non ci vado
perché per amare te non penso a Dio.
E tu che sai di questo amore e queste pene,
mi lasci qui a morire come un cane.
Meno mi ami e più ti voglio bene.
Amore, non mi lasciare in queste pene
perché sei per me l’acqua, e il pane.