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Fin da bambini ci viene insegnata l'importanza degli alberi i quali, magicamente, trasformano l'aria che respiriamo.
Le piante, le alghe e i cianobatteri alterano il nostro pianeta con la fotosintesi, tanto da renderlo ospitale alle forme di vita terrestri.
Tale processo, con la sua semplice complessità, è parte della routine quotidiana su questo mondo ed è alla base della maggior parte dei processi biologici: potrebbe, quindi, diventare una delle chiavi fondamentali per la ricerca della vita oltre la Terra.
Ad esempio, le variazioni di colore osservate sulla superficie di Marte dovute ai vortici di polvere stagionali, furono inizialmente scambiate per vegetazione. Nonostante, l'errore di interpretazione, questa ipotesi ha aperto la strada a nuovi metodi di indagine, come quelli basati sulla fotosintesi, alla ricerca della vita in altri mondi.
Il giusto mix dipende dal tipo di stella e da come l'atmosfera di un pianeta filtra la luce.
Ma, prima di andare oltre, è importate ricordare come funziona la fotosintesi sulla Terra.
Lo spettro della luce solare picchia maggiormente sulle lunghezze d'onda blu-verdi, così gli scienziati si sono chiesti a lungo come mai le piante sono verdi, cioè riflettono lunghezze d'onda nel verde sprecando quella che in realtà sembra essere la miglior luce a disposizione.
Dopo tutto, l'evoluzione ha ottimizzato l'occhio umano per essere più sensibile alla luce verde e quindi perché le piante non la sfruttano altrettanto?
La risposta è che la fotosintesi non dipende dalla quantità di luce totale ma dall'energia di ogni singolo fotone e dalla quantità di fotoni.
Mentre i fotoni blu sono più energetici, quelli rossi sono numericamente maggiori nella luce solare.
Così, Le piante usano i fotoni blu per la loro qualità e fotoni rossi per la loro quantità.
I fotoni verdi, che si trovano nel mezzo, non hanno né qualità né numero e quindi vengono "scartati".
Come sottoprodotto della reazione, la pianta rilascia ossigeno nell'atmosfera attraverso gli stomi, piccoli buchi nella foglia, responsabili dello scambio gassoso tra albero e ambiente esterno.
Più nello specifico, la clorofilla assorbe preferenzialmente luce rossa, blu e carotenoidi (che producono il rosso vivo e il giallo tipico delle foglie secche).
Tale processo è un vero capolavoro della natura: i fotoni blu ad energia più elevata, vengono declassati fino al livello energetico dei fotoni rossi; tutta l'energia viene incanalata nella speciale molecola della clorofilla con una reazione chimica che rilascia ossigeno.
Un processo semplice di fotosintesi, per convertire un atomo di carbonio (ottenuto da anidride carbonica, CO2) in una molecola di zucchero semplice, richiede un minimo di otto fotoni.
Sulla superficie della Terra, dunque, i fotoni rossi possiedono la più bassa energia dello spettro ma sono i più abbondanti. Tuttavia, non è detto che la fotosintesi avvenga allo stesso modo, ovunque, sul nostro stesso pianeta.
Ad esempio, nelle profondità degli oceani la luce è filtrata dall'acqua e i fotoni rossi potrebbero non essere così numerosi. Qui, gli organismi devono lavorare maggiormente per ottenere comunque una crescita più lenta.
Proprio come le creature acquatiche si sono adattate alla luce filtrata dall'acqua, gli abitanti della terra si sono adattati a luce filtrata dai gas atmosferici.
Su altri mondi potrebbe accadere qualcosa di analogo, quando la stella emettere una luce differente e/o la luce viene filtrata diversamente dall'atmosfera del pianeta.
Anche i primi organismi fotosintetici che apparvero sulla Terra, quando l'atmosfera era priva di ossigeno, devono aver usato strategie diverse anche sul nostro mondo, sfruttando diversi pigmenti di clorofilla.
Alcuni scienziati ritengono, ad esempio, che prima della clorofilla, sulla Terra esisteva un'altra molecola fotosintetica, la retina (così chiamata per la sua somiglianza con la rodopsina, il pigmento della retina nelle cellule a bastoncello dell'occhio umano), che oggi si trova nella membrana color prugna degli alobatteri (microbi fotosintetici): questa molecola assorbe la luce verde e riflette la luce rossa e viola.
I microbi primitivi che usavano la retina per sfruttare l'energia del Sole avrebbero dominato la Terra primitiva e colorato il nostro pianeta di porpora.
La fotosintesi (clorofilliana) deve essere iniziata sotto l'acqua che è un buon solvente per le reazioni biochimiche e che deve aver fornito una protezione, fondamentale in assenza di uno strato di ozono atmosferico, contro la radiazione UV della luce solare.
I primi organismi erano batteri subacquei che assorbivano principalmente fotoni infrarossi.
Le alghe verdi iniziarono a formarsi quando l'acqua poco profonda divenne sicura dai raggi UV e poi, pian piano, le piante emersero sulla superficie.
Secondo alcune speculazioni, la retina e la clorofilla potrebbero aver convissuto per un certo tempo, fin quando non prevalse quest'ultima per la sua maggiore efficienza.
La lunghezza d'onda più lunga osservato nella fotosintesi sulla Terra è di circa 1.015 nanometri (nella banda infrarossa), mentre la lunghezza d'onda più lunga conosciuta per la fotosintesi ossigenica avviene in un cianobatterio marino a circa 720 nanometri. Ma le leggi della fisica non impongono alcun limite, per cui un gran numero di lunghezze d'onda superiori o inferiori potrebbero raggiungere lo stesso scopo.
Credit: Wavelength image from Universe by Freedman and Kaufmann
H. G. Wells nel film "La guerra dei Mondi" aveva immaginato una vegetazione aliena rosso sangue ed in effetti, aveva avuto un'intuizione!
In un recente studio pubblicato sulla rivista Nature, intitolato "Extreme alien light allows survival of terrestrial bacteria", il fisico Neil Johnson, dell'Università di Miami, ha analizzato come situazioni estreme, quali potrebbero essere i lampi di luce prodotti da stelle instabili, possono influenzare questi piccoli microorganismi.
La luce, sotto forma di fotoni in pacchetto, è il cibo per questi batteri: dalla ricerca è emerso che, alcune situazioni giudicate innocue possono invece uccidere i microorganismi mentre altre, come una pioggia improvvisa di fotoni, vengono gestite oltre ogni aspettativa.
Comunque, indipendentemente dalla situazione specifica, i pigmenti fotosintetici devono soddisfare, altrove, le stesse regole che lavorano sulla Terra: assorbono i fotoni più abbondanti, nella lunghezza d'onda più breve disponibile (quindi più energetici) o nella lunghezza d'onda più lunga disponibile.
Team di studiosi di varie discipline hanno cercato più volte di affrontare l'argomento e di determinare come potrebbe essere il colore delle piante su un pianeta alieno, sotto la luce di una stella diversa.
Alla fine, pianeti in orbita intorno a stelle di tipo F, G, K e M potrebbero ospitare processi fotosintetici nella luce visibile, a lunghezze d'onda tra i 400 e i 700 nanometri, come sulla Terra.
Credit: The color of Plants on Other Worlds
Sulle pagine di questo sito, abbiamo scritto diverse volte sul tipo di illuminazione presente su Marte, sui colori del pianeta percepiti dall'occhio umano, sulla quantità e qualità di lunghezze d'onda che arrivano in superficie.
Ora, che si discute sempre più frequentemente ed animatamente sull'abitabilità passata del pianeta, sul livello di radiazioni attualmente in superficie e sulla presenza di acqua allo stato liquido, passata e presente, sarebbe importante mantenere ampie vedute e tener presente come i processi biologici sono riusciti a svilupparsi in condizioni difficili e quanto i piccoli organismi sono straordinariamente in grado di adattarsi ad ambienti avversi.
Più volte abbiamo sostenuto che la vita potrebbe essersi sviluppata su Marte oltre i nostri modelli teorici e forse potrebbe esserci ancora oggi: microorganismi animali o vegetali in grado di sfruttare l'energia presente nell'ambiente marziano, agevolati da un mondo a gravità ridotta, dove meno energia è richiesta.
D'altra parte, anche se ancora nessuna missione ha effettuato un analisi chiara quantitativa e qualitativa delle lunghezze d'onda che raggiungono la superficie marziana, riteniamo che lo spettro solare è comunque sufficientemente impoverito delle lunghezze d'onda più corte, tanto da poter sostenere la vita microbica (le lunghezze d'onda inferiori ai 280 nanometri possono essere estremamente dannose per gli organismi viventi).
L'atmosfera polverosa e la presenza di abbondante CO2, che ha un assorbimento significativo per lunghezze d'onda inferiori ai 204 nanometri e offre uno scudo sotto i 190 nanometri, infatti, dovrebbero bloccare la componente più dannosa degli UV, gli UV-C 280-100 nm.
Anche se probabilmente il livello di UV è sensibilmente legato all'angolo di incidenza della luce solare, alla latitudine e alla stagionalità, alla fine, su Marte il flusso di UV tra i 200 e i 400 nanometri potrebbe essere paragonabile (più o meno) a quello presente sulla Terra (alcune considerazioni sono disponibili alla fine del post "Riflessioni sulla quantità e composizione della luce marziana").
D'altra parte, esistono specie viventi particolarmente resistenti anche agli UV o microorganismi in grado di utilizzare altre fonti di energia, come il perclorato ed altre strategie di sopravvivenza.
Al di la, quindi, del grande lavoro svolto al Kennedy Space Center della NASA e quello di altre istituzioni, per determinare l'illuminazione artificiale ottimale per coltivare su Marte, in vista di future missioni umane e colonie, immaginiamo che processi fotosintetici potrebbero ancora avvenire sul Pianeta Rosso oggi e sicuramente si sarebbero potuti sviluppare in passato, quando le condizioni ambientali erano addirittura migliori.
Bibliografia:
- The color of Plants on Other Worlds
- Alien Plants May Thrive on Many Wavelengths of Light
- Purple Bacteria on Earth Could Survive Alien Light
- Ultraviolet Radiation On The Surface Of Mars
- Simulation Of The Mars Surface Solar Spectra For Optimized Performance Of Triplejunction Solar Cells
- Plant Productivity in Response to LED Lighting