Fra le onde di Jaipur

Da Patrickc

Muharram a Jaipur (di Patrick Colgan)

Nuotare nella folla delle celebrazioni per la Muharram in India

E perché fidarsi degli altri

Non ci feci quasi caso quando Salim Khan, il tassista con un eterno, luminoso sorriso stampato sul volto mi disse che il pomeriggio mi avrebbe portato a un non meglio precisato ‘festival’. Non ebbi nemmeno il tempo di sorprendermi: quando arrivammo fra i palazzi rosa della città vecchia di Jaipur ci trovammo improvvisamente in una folla disordinata e immensa, avvolti dal suono frastornante dei tamburi. Tutto intorno a me era indecifrabile, alieno. Ero l’unico occidentale e nella calca perdevo continuamente di vista Salim, la mia àncora  fra le onde impetuose del mare umano in cui nuotavo alla deriva.

Stringevo nelle mani la mia piccola, vecchia macchina compatta tenuta assieme col nastro adesivo. Salim era stranamente parco di notizie, continuava a ripetere ‘Moram, moram’. Intendeva dire, che era la processione dell’Ashura, il decimo giorno del mese di Muharram, in cui si commemora del martirio di Hussein. Ne avevo letto sulla mia guida. Avevo visto documentari che mostravano processioni sciite con autoflagellazioni e canti luttuosi davvero impressionanti per l’Ashura (in questo periodo sono addirittura proibite le feste) ma attorno a me tutti sembravano coinvolti in quella che era a tutti gli effetti una grande festa.

‘tazia’ (di Patrick Colgan)

A un certo punto decisi di sganciarmi dalla mia àncora e di lasciarmi trasportare dalla corrente, mentre attorno a me i fedeli agitavano bastoni, suonavano tamburi e portavano sopra la testa decine, centinaia di tazias, repliche del mausoleo di Hussein costruite per lo più  con materiali poveri (soprattutto polistirolo, plastica) decorate in maniera elaborata, eccessiva, con stemmi, gioielli, festoni. Se avessi perso di vista Salim, lo avrei ritrovato. Fra i tanti volti ce n’era uno che mi osservava. Uno sconosciuto in mezzo alla folla mi fece cenno di seguirlo, a gesti. Aveva l’espressione estremamente seria e i movimenti delle sue mani erano decisi, quasi autoritari.

Quando succede qualcosa di questo tipo, mentre sei da solo in viaggio, non sai mai come comportarti. E non c’è una regola. Sei lacerato fra la prudenza, la diffidenza, la tua parte razionale che ti imporrebbe di dire no e la necessità ineluttabile di essere aperto all’incontro, la naturale fiducia che ti ispirano le altre persone, anche il sottile piacere che può procurare il rischio di esplorare l’ignoto. Istintivamente decisi di seguire la persona, tirai un respiro e mi immersi nella folla in apnea.

Muharram a Jaipur (di Patrick Colgan)

Ogni tanto lo perdevo di vista, ma riappariva sempre fra le teste e i tamburi nella calca e continuava a farmi cenno di seguirlo. Dalla folla cominciò ad emergere il profilo di un palco, lontano un centinaio di metri.

Le tazias, portate a spalla o spinte su carretti sembravano convergere in quel punto. Transitavano davanti al palco dove un uomo col turbante pareva presiedere alla cerimonia e annuiva a ogni passaggio. Il cuore mi batteva forte e la tensione aumentava mentre cominciavo a temere il peggio: immaginai mani estranee che mi afferravano improvvisamente, mi immaginai infilato improvvisamente in un’auto e incappucciato. Nessuno mi avrebbe più ritrovato. Come se non bastasse, non capivo quello che stava succedendo, avevo perso il senso dell’orientamento: erano spariti tutti i punti di riferimento e mi dovevo completamente affidare a uno sconosciuto mentre incominciava a calare il sole. Facendoci largo fra tamburi, bastoni e tazias arrivammo fin sotto al palco. La gente mi guardava incuriosita, sorpresa: di  altri occidentali, intorno a me, non ce n’erano.

L’uomo mi fece cenno di aspettare. Attirò l’attenzione di una persona sul palco e li osservai mentre parlottavano per cercare di cogliere il senso di quella conversazione. Ero tentato di infilarmi di nuovo nella calca e sparire. Li osservai mentre mi indicava. Forse la festa era vietata agli occidentali o ai non musulmani come era vietata alle donne (che affollavano le terrazze dei palazzi, osservando dall’alto la festa) e quell’uomo era un poliziotto? Mi voleva arrestare? In testa in questi momenti ti passa di tutto. Pensai che me la potevo cavare con una ‘donazione’ – alle volte in India funziona anche così –  e cominciai a contare mentalmente i soldi che avevo nel portafogli. Non erano molti: la carta di credito era bloccata e il giorno prima Salim aveva addirittura dovuto prestarmi delle rupie.  Ma la curiosità mi bloccava lì.

Nel frattempo l’uomo col turbante, una sorta di autorità, fece un cenno di assenso dal palco. Scosse leggermente il capo, come fanno gli indiani quando si dice di sì. Una persona dal palco mi porse una mano e mi fece cenno di salire. Ero stupefatto. Con il suo aiuto salì faticosamente sul palco e nessuno sembrò fare troppo caso a me. Lui si limitò a indicarmi che potevo fare foto. Davanti a me un mare senza fine di persone aveva riempito lo spazio fra i palazzi rosa di Jaipur. Sembravano onde sulle quali galleggiavano le enormi tazias galleggianti, che si spostavano lentamente verso di noi al ritmo ossessivo scandito dai tamburi e da esplosioni di grida. Decisi di non abusare del privilegio. Scattai numerose foto (vennero male perché eravamo di fronte al sole, perfettamente controluce: troppo per la mia compatta scassata e tenuta assieme con un elastico) e dopo un quarto d’ora feci cenno che era il momento di scendere. L’uomo serio, che non aveva messo via l’espressione da poliziotto, era ancora lì e mi aiutò a scendere. Lo ringraziai calorosamente e mi salutò senza chiedermi una rupia. Ero di nuovo solo, ma la folla cominciava a diradarsi. Fra  gruppi che suonavano i tamburi e gli ultimi carretti rispuntò il familiare sorriso di Salim.

Salim Khan (di Patrick Colgan)

Muharram a Jaipur (di Patrick Colgan)

Muharram a Jaipur (di Patrick Colgan)

Bambini festeggiano (di Patrick Colgan)

p.s. Se avete in programma un viaggio a Jaipur contattatemi: ho il numero di Salim e non c’è modo migliore di visitare Jaipur che seguendo il suo sorriso.

Link: le mie foto dell’India su Flickr (scattate con una scassata nikon coolpix 5200)


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