Sapremo chi è il nuovo presidente statunitense per i prossimi quattro anni; anni difficilmente tranquilli, anzi probabilmente molto turbolenti e che diranno con chiarezza in quale tipo di crisi ci siamo infilati quattro anni fa e se ormai il multipolarismo ha il vento in poppa oppure farà ancora molta fatica ad affermarsi. Propendo per la vittoria di Obama. Non certo perché sia a lui favorevole; non m’interessa nessuno dei due candidati, espressione di gruppi dominanti diversi in determinati interessi perseguiti e in date strategia (o tattiche) seguite, ma senza dubbio con una finalità comune: il mantenimento della potenza imperiale del paese e, dunque, del suo predominio mondiale. Penso vinca Obama non perché esprima i gruppi dominanti più forti; più semplicemente perché non mi sembra che i repubblicani si siano impegnati a fondo come si vuol fare apparire. La vittoria dell’uno o dell’altro sarà di misura; se accadrà quanto prevedo, sarà semmai per demerito di Obama, e dei suoi centri sostenitori, più che per merito degli avversari, giacché il vantaggio iniziale era ben maggiore.
Ritengo particolarmente stupide certe opinioni che ho letto in questi giorni su alcuni giornali italiani. Gli Usa snobberebbero completamente l’Europa, sono concentrati su se stessi, su problemi interni e in particolare su quelli economici. I due candidati sono senza dubbio abbastanza scadenti e ciò esprime probabilmente la non eccelsa qualità degli attuali centri strategici statunitensi. Si tratta comunque di gruppi e lobbies, ecc. che hanno pur sempre una visione mondiale. Si rendono ben conto dell’importanza dell’Europa, soprattutto per tenere comunque a freno la Russia. E’ probabile che alcuni di questi centri privilegino, come nemico principale, la Cina; e dunque si concentrino sulla politica nell’area del Pacifico e dintorni (anche sui problemi nel Centro Asia e via dicendo). Tuttavia, sono convinto che non tralascino la Russia e, dunque, non siano per nulla disinteressati all’Europa e nemmeno alla nostra “povera” Italia.
Tali centri si devono concentrare sui problemi interni, ed economici in specie, perché il regime di governo statunitense – per lunga tradizione e soprattutto non essendo gli Usa mai stati caratterizzati dal capitalismo borghese, salvo qualche “vagito” nel New England in epoche remote (quelle ad es. del film di Scorsese, L’età dell’innocenza) – è una “democrazia elettoralistica”. In essa si reca alle urne circa metà della popolazione, i cui voti devono comunque essere conquistati con opportune metodologie: non solo mediatiche – secondo l’opinione di date “avanguardie” intellettuali, quelle della “società dell’informazione”, di una superficialità sconfortante, ammessa e non concessa la loro buona fede – bensì ramificate in vari canali “collettori”, che vanno innaffiati con molto denaro. In questa “bella democrazia” (una farsa, a volte tragica), con il 25% + 1 (per così dire) dei voti si prende tutto il banco. Meglio non esprimersi con le frasi più opportune!
L’Europa è comunque importante per gli Usa, ma è molto bene parlarne il meno possibile, almeno finché perdura l’attuale strategia del caos, in cui gli Stati dei vari paesi europei – la UE, con i suoi organismi, fa da “discreto” supervisore per conto degli Stati Uniti, soprattutto tramite l’Inghilterra, il “fedele alleato”, cioè servo – vanno lasciati “liberi” di contrastarsi fra loro, di dibattersi nelle convulsioni dell’euro, semplice riflesso della loro disunione politica, che non trova ancora alcun gruppo dominante in grado di assumere la preminenza e di effettuare rilevanti svolte politiche in senso autonomistico. Non bisogna interessarsi troppo, soprattutto direttamente e nominativamente, dei paesi europei; affinché le forze qui responsabili del governo, asservite agli Usa, non parlino di questi ultimi, non li tirino in ballo in quanto effettivi responsabili dei disastri della nostra zona (ad alto o medio sviluppo capitalistico) e, più in generale, della crisi generale che attanaglia, pur in forme diverse, l’intero globo.
Adesso è di moda prendersela con la Germania – che, sia chiaro, ha colpe precise, non va considerata “innocente” – cosicché cresce l’idiosincrasia d’essa, economicamente ancora la più forte, nei confronti degli altri paesi europei, che la ricambiano “cordialmente”. Tutto ciò è “oro” per il predominio statunitense sulla nostra area; e questa politica, unita a quella nel nordafrica e medioriente, ecc. serve mirabilmente a intrigare l’azione russa e a cercare di portare il disordine pure nella sua sfera d’influenza (quanto meno potenziale, se non altro per contiguità territoriale).
Tutto sommato, sarebbe forse meglio se fosse il repubblicano a vincere la gara presidenziale. I motivi credo siano stati più volte enunciati in questo blog; forse non sono stati chiariti a sufficienza, ma ci torneremo ancora. In ogni caso, se vincesse Romney, ho la sensazione che si troverebbe in difficoltà, perché per i prossimi, piuttosto difficili, anni è tutto sommato più opportuno rilevare i risultati della strategia americana (quella denominata “nuova”), magari con qualche aggiustamento ottenuto in particolare dal Pentagono. Non dico tutti i repubblicani, ma molti fra questi e con gli importanti centri strategici che vi stanno alle spalle, tireranno (io credo) un sospiro di sollievo alla probabile vittoria di Obama. Meglio lasciar cuocere l’attuale Amministrazione, “contenerla” per quanto possibile, e poi prepararsi a come sarà il mondo fra quattro anni, il cui scorrere sarà “sorprendente” per gli eventi che vi si svolgeranno.
Per questo motivo, ritengo non del tutto giustificate le critiche agli articoli di Stratfor che pubblichiamo. Non esprimono le nostre posizioni, saranno senz’altro viziati da forte ideologismo e da notevole manipolazione dei “fatti” (sempre d’altronde alterati dall’ideologia, che assegna alla “visione” d’essi una particolare angolazione), ma sono le opinioni, comunque imperiali, di centri rilevanti che sono in posizione critica rispetto all’attuale strategia americana. E’ ovvio che tali centri siano pur essi interessati al predominio mondiale; propongono operazioni in parte diverse, ma la finalità non può non essere quella. Teniamone conto perché in futuro, e non per pochi anni, saranno le manovre statunitensi al centro dell’evoluzione mondiale; gli altri dovranno giocare a contrastarle, ma le coordinate di riferimento, le metodologie d’intervento, le forze in campo, le aree interessate (e con modalità assai differenti tra quella asiatica e quella europea e africana, ecc.), saranno elaborate e manovrate dalle strategie (o tattiche) in contrasto, ed anche in intreccio, messe in opera dagli Stati Uniti.